Nel mondo del rock non mancano i casi costituiti da lp che, al momento della pubblicazione, non vengono adeguatamente considerati e solo in un secondo tempo sono riscoperti e rivalutati . Il disco che mi accingo ad analizzare rappresenta proprio una case history in tal senso. Quando esce sul mercato, nell'ottobre 1975, "The Who by numbers " presenta un gruppo che ha dalla sua un percorso artistico decennale disseminato di dischi di grande livello In un certo senso lo zenith musicale della band è costituito dal doppio "Quadrophenia ', l' opera rock incentrata sulla vita di Jimmy the mod (personaggio in cui si può rispecchiare un'intera generazione) ed edita nel 1973.

Da quel momento incominciano le criticità nella vita interna del gruppo. Intanto eseguire dal vivo l'intera "Quadrophenia" (così ricca di strumentazioni orchestrali ed elettroniche) non è così semplice e già si avvertono i primi malumori di Roger Daltrey che lamenta di dover dar voce a certe problematiche misticheggianti espresse nei testi di Pete Townshend, anima sensibile e profonda della band. Oltretutto Keith Moon comincia a accusare problemi di salute non indifferenti, legati all'abuso di alcoolici (e non solo), tanto che nel corso di un concerto a Londra nel novembre 1973 collassa e , come extrema ratio, Pete chiama sul palco un giovane volonteroso 17enne che si diletta di percussioni e porta a termine dignitosamente il concerto insieme agli altri Who. Nel frattempo , fra riduzioni teatrali e film musical ispirati alla loro prima rock opera "Tommy ", i quattro componenti il gruppo cercano di tirare un po' il fiato (e mentre ognuno di loro ha già avviato una parallela attività solistica John Entwistle, nell'indifferenza dei colleghi, prepara un gioiellino come "Odds and sods" , raccolta di b sides degli Who). Insomma, la coesione interna della band non è al top quando entrano in sala di registrazione per "The Who by numbers ".Dopo 3 mesi di lavoro il risultato non è proprio quello che ci si aspetterebbe da una band passata alla storia per il piglio spavaldo e la lingua sciolta (di loro si può dire che siano stati i veri antenati del punk movement , per niente preoccupati di piacere a tutti) . L'album, recepito freddamente dalla critica, infatti si caratterizza per toni intimisti e crepuscolari (nel mood tipico che si respira nei solchi di album di altri artisti tipo il Bruce Springsteen di "Nebraska" uscito qualche anno dopo).Lo stesso sound dell'lp è meno magniloquente del solito, come se gli Who fossero meno impulsivi del solito, con uno stile più trattenuto ma non per questo meno efficace (forse l'unico flop nella track list è "Squeeze box ", motivo di sapore country ma solo buono come hit da 45 giri) . Siamo pur sempre di fronte a quattro rockers tecnicamente impeccabili. Roger è meno roboante del solito (basterebbe riascoltarlo in tanti passaggi del precedente "Quadrophenia" per farsene un'idea) ma resta sempre un vocalist di gran classe. Pete è sempre l'asse portante del quartetto non solo come autore di testi significativi, ma anche come chitarrista elegante (dimostrato nel brano di apertura "Slip kid"), mentre un bassista come John Entwistle è garanzia di pulsioni ritmiche rocciose nel flusso musicale. Ed anche Keith Moon è all 'altezza del cimento (almeno è ancora in grado di non crollare totalmente sotto il giogo etilico).

Con una copertina dell' album curiosa (su idea grafica di quel geniaccio di John Entwistle) ispirata al tipico indovinello da Settimana Enigmistica "congiungete i punti numerati progressivamente e vedrete che immagine apparirà ", ecco i ritrovati Who stilizzati in formato fumettistico ma con la nuova propensione a comunicare sentimenti di malinconia e disillusione verso sé stessi e il mondo del business musicale. Mentre 10 anni prima gli Who irrompevano sulla ribalta rock ponendosi fra i portavoce musicali della rabbia giovanile (ben espressa in "My generation "), ora esprimono il proprio malessere a fronte della vita da rock stars e dell'ambiente circostante. E, giusto per citare alcuni brani salienti del disco, se un tempo si credeva che la musica sarebbe stata un mezzo efficace a disposizione dei giovani per provare a cambiare il mondo, ora è il caso di rammentare a quei giovani, insofferenti verso il sistema e i suoi vecchi aedi tromboni, che non ci sono facili modalità per essere liberi ("there's no easy way to be free "da " Slip kid "). Nella traccia a mio avviso più bella del disco, ovvero in "Success story " a firma dell'acuto John Entwistle, si racconta come possa essere squallido far parte del rock system ("C'è un cantante di rock and roll alla televisione che ha chiuso con la musica ed ha abbracciato la religione, ha abbandonato tutto e sta provando a salvare la sua anima. Aspetto il week end, devo trovare altre serate :sei per quello delle tasse ed una per la band, poi di nuovo nello studio ad incidere il nostro nuovo successo, 276 volte e sai che questo una volta era divertente . ")

Ovvio che possa anche insorgere la tentazione di trovare conforto nell'alcool come già nel titolo " However much I booze "allorquando Pete (ma non solo lui) si reputa un bugiardo, un clown cartaceo, un fallito, un frustrato che calata la sera, si isola dal mondo e seduto in poltrona si scola una bottiglia di buon whisky, mentre fans e critici si lanciano in dotte analisi di musica e testi incisi a suo nome per poi scoprire che neanche la rock star può indicare una soluzione ai problemi esistenziali ("but it don't help me that you know this ain't no way out.. ")

E son dolori anche quando ti chiedi (soprattutto se fai parte del rock stardom) quali possano essere i veri amici che ti accettano per come sei realmente (come canta in gran forma Roger Daltrey in" How many friends" ). E amici non sono certamente gli adulatori che ti si incollano solo per stare a fianco di una celebrità giusto per trarne qualche vantaggio indiretto o per scopi biechi (vedi i boss di case discografiche che rifilano contratti ben congegnati per incastrare l'artista inconsapevole o peggio ancora quei sedicenti fans che attentano addirittura alla vita della rockstar colpevole a prescindere, come fece un certo Mark Chapman con John Lennon qualche anno dopo.) .

Ma se questo genere di vita è tanto stressante, forse tutti noi (famose rock stars e comuni mortali) dovremmo cercare di crearci una piccola oasi di serenità ed iniziare ad apprezzare le piccole gioie della vita come in "Blue red and grey" quando Townshend dichiara di amare ogni minuto del giorno (un po' sulla falsariga del Candide di Voltaire che dopo tanto peregrinare scopre che la cura del proprio orto è appagante) .

Complessivamente , "The Who by numbers" è la dimostrazione della raggiunta maturità della band, ormai ben insediata nel mainstream rock, dopo aver accantonato le velleità rivoluzionarie musicali espresse negli anni precedenti. Sarà solo questione di tempo (non più di due anni) per assistere a nuovi fermenti nel rock e dintorni : l'onda punk intorno al 1977 scompigliera' tutto l'ambiente rock e nessuno potrà ignorarlo (anche i gloriosi dinosauri chiamati Who..)

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