Se qualcuno nutrisse ancora dubbi sul carattere innovativo e dirompente della musica rock, ecco un disco altamente consigliabile come "The Who live at the Fillmore East 1968" . Il gruppo è sempre stato, fin dagli esordi a metà anni 60, uno dei più indicati nel rappresentare le ansie e rabbie giovanili dell'epoca e non per nulla un inno di tali insoddisfazioni fu proprio il brano "My generation".

Il disco live oggetto di questa recensione è un documento storico che era rimasto un po' accantonato alla voce bootleg nella discografia degli Who, dei quali sono ufficiali i live registrati in altre occasioni come "Live at Leeds" , "Live at Hull", "Live at the Isle of Wight 1970". Solo nel 2018 è stato editato questo concerto degli Who svoltosi in 2 serate ovvero il 5 e il 6 aprile 1968 al Fillmore East di New York. Il gruppo non era nuovo dalle parti degli USA : già sulla cresta dell'onda mod in Gran Bretagna, era arrivato negli States nel 1967 partecipando al primo festival pop di Monterey California e suscitando gran scalpore con il consueto show esplosivo chiuso con l'esecuzione di "My generation" e relativa distruzione degli strumenti musicali. Più eccentrici di loro, come è noto, c'era stato solo il gruppo Jimi Hendrix Experience ed anche qui Jimi aveva pensato bene di incendiare la chitarra.

Ritornati l'anno successivo in America , i quattro ragazzi londinesi si trovano a calcare il palcoscenico proprio in un momento incandescente nella storia yankee (e non solo visto che l'anno 1968 fu ricco di avvenimenti turbolenti nel nome della contestazione giovanile) : infatti il 4 aprile 1968 era stato assassinato a Memphis il reverendo Martin Luther King, portavoce delle istanze della comunità afroamericana in lotta per ottenere i diritti civili tanto negletti in tanta parte degli USA Ovviamente dopo un simile delitto, è noto che l'atmosfera in terra americana era molto esasperata.

E, proprio tenendo conto di questa situazione generale, l'aria che si respira in questo concerto è proprio ancora più esplosiva del solito (il set live degli Who non è mai stato soporifero in tanti anni di carriera). Il concerto parte di gran carriera con una esecuzione al fulmicotone di "Summertime blues" , un classico del rock and roll di Eddie Cochran e comunque tutti i brani che risalgono a quel periodo pionieristico del rock ("Fortune teller", "My way", "C'mon everybody", "Shakin' all over", rispettivamente di Benny Spellman, Eddie Cochran, Johnny Kidd & the Pirates) vengono eseguiti dagli Who in modo impeccabile, infondendogli nuova linfa ed energia. C'è poi tutto lo spazio per proporre tutti i cavalli di battaglia del gruppo (almeno i più noti composti dal 1965 al 1968). La lista è già impressionante per un gruppo giovane e tosto come gli Who : "Tattoo", "Little Billy" (un'autentica gemma composta da Pete Townshend per indicare i pericoli corsi dalla salute in caso di consumo della sigaretta) "I can't explain", "Happy Jack", "Relax" (in versione lunga e con richiami a "Sunshine of your love") , "I'm a boy" , "A quick one" (esempio di prima mini opera rock), "Boris the spider". Il gran finale arriva (e non poteva essere altrimenti) con "My generation" che si snoda per ben 33 minuti e termina con il rituale distruttivo della chitarra di Pete e della batteria di Keith Moon, lasciando basiti gli spettatori dello show (come riferito nelle note di copertina del long playing) .Io stesso, che in tanti anni ho ascoltato i lives su vinile degli Who, resto sempre impressionato dall'energia dispiegata dai quattro tutte le volte che suonavano dal vivo. Nel caso specifico del concerto al Fillmore East, oltre al fatto di riuscire a captare lo spirito al cardiopalma del tempo americano in quel 1968, gli Who sfoderano un sound che non non si limita ad essere squisitamente rock, ma si dimostra tanto poliedrico da avventurarsi nel corso di infinite improvvisazioni fino a tonalità spiccatamente psichedeliche, tanto care ai primi Pink Floyd capitanati da Syd Barrett (basta ascoltare attentamente le esecuzioni di "Relax" e della stessa "My generation" ).

Insomma, per quanto fondamentali e noti nella storia del rock, riascoltare gli Who è sempre appagante ed esempio di musica energetica. Come potrebbe essere altrimenti con un cantante come Roger Daltrey che sfodera una potente voce da negro bianco (in linea con lo stile di James Brown), un bassista come John Entwistle così martellante e preciso, un batterista ossessivo e fulminante come Keith Moon, per finire con un compositore e chitarrista come Pete Townshend così innovativo e dirompente da meritare di stare al livello di tanti chitarristi notevoli come Jimi Hendrix, Eric Clapton, Jimmy Page, Jeff Beck?

Anche oggi, a distanza di così tanto tempo e dopo che Moon ed Entwistle ci hanno lasciati, la musica degli Who è sempre lì a ricordarci che il rock non è morto come alcuni credono, ma vive e continua a turbare i sonni dei benpensanti.

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