“Mauro, tu che sei degli anni ’60, parlaci della musica di quei tempi che, si dice, sia stata leggendaria!” chiedono i figli dei miei amici fraterni conoscendo la mia passione per la musica. Un momento ragazzi, io sono nato nel 1966 non è che ho vissuto quell’epoca, magari!

Certo non sarà perché mi ha dato i natali che si ricorderà il 1966, anno cruciale nell’evoluzione della musica pop con il Rock & Roll che si stava evolvendo in Rock e basta e con il Long Playing che sostituiva il 45 giri affermandosi come opera articolata e non più solo una raccolta di hits. Basti pensare ad opere come “Aftermath” dei Rolling Stones, prima opera delle Pietre di soli inediti, “Blonde On Blonde” di Dylan e “Freak Out!” dei Mothers of Invention, primi album doppi, per non parlare di “Revolver” dei Beatles o “Pet Sounds” dei Beach Boys e, ancora, il debutto di Tim Buckley con l’omonimo e dei Cream con “Fresh Cream”: tutte opere (e potrei citarne altre) che hanno contribuito a rivoluzionare la scena musicale e porre solide basi per tanta musica che verrà.

E se molte delle band/artisti citate/i sono certo siano note ai suddetti ragazzi, è probabile che nessuno di loro abbia mai sentito nominare gli Yardbirds. Eppure, a metà dei ‘60 erano, insieme agli Who ed ai Kinks, i veri dominatori della Swinging London. Strano destino quello dei “gallinacci”, anche qui sul Deb tutti a dire “gruppone!” ogni volta che si posta un ascolto di un loro brano. Ma poi, se vai a vedere, i lavori qui recensiti sono due: uno dal sottoscritto (estimatore di Clapton) che parla della prima ora della band, quella che li rese famosi per gli incendiari Rave-up con God alla sei corde, ed una de @IlConte, che recensisce l’ultimo album della band, inizialmente pubblicato solo negli USA, con alla chitarra Jimmy Page. E ti pareva, data la passione del Nobile per gli Zepp! Certo, quello che qui tutti sanno è che gli Yardbirds sono stati il ​​campo di allenamento, oltre che di Clapton e Page, anche di Jeff Beck. Ed è proprio nel 1966, anno con Beck in formazione, che hanno fatto il passo decisivo nel mondo moderno, passando dall'R&B alla psichedelia e all'acid rock.

L'avventurismo sonoro degli Yardbirds li mantenne un passo avanti rispetto ai gruppi coevi e, grazie allo spirito indomito di Beck e alla solidità della sezione ritmica, i ragazzi riuscirono a incidere un album che fu uno dei dischi più entusiasmanti e all'avanguardia prodotti fino a quel momento, stabilendo uno standard per la psicosi della chitarra elettrica che sarebbe stato superato solo dal debutto di Hendrix l'anno successivo. “Roger the Engineer,” titolo con il quale oggi è universalmente noto dal nome del tecnico di studio caricaturato da Chris Dreja sulla copertina (anche se originariamente si intitolava semplicemente Yardbirds), non si erge come un grande album di per sé; non c'è continuità tematica di alcun tipo. Ciò che affascina dell'album è che è la cronaca di una band che cerca di trovare una nuova strada sperimentando in studio con una pletora di stili e suoni e con Beck sugli scudi che, grazie alle nascenti tendenze psichedeliche, mostra il suo disprezzo per qualsiasi cosa si avvicini al puro stile di suonare una sei corde fino a quel momento.

“Lost Woman” apre l'album con quello che sembra un classico blues-rock degli Yardbirds, ma la jam nel mezzo prende diverse direzioni inaspettate, introducendo accordi freschi e un favoloso assolo di basso che prosegue fino alla strofa finale. “Over, Under, Sideways Down” è un brano pop eccentrico e psichedelico che, partendo da un riff di Beck di ispirazione orientale e supportato da battiti di mani e cori di "Hey!" in sottofondo, dipinge un quadro che appaga il mio edonismo: “Macchine e ragazze sono facili da trovare al giorno d'oggi/Ridere, scherzare, bere, fumare/Finché non ho speso il mio stipendio”. “The Nazz Are Blue” mostra un'altra specialità degli Yardbirds: il blues (relativamente) diretto ed energico. Jeff Beck qui si occupa anche della voce solista cantando sopra il blues shuffle della band. Ma sappiamo qual è la vera forza del signor Beck che qui riesce, ancora una volta, a mostrare la sua abilità in un modo inaspettato con più di metà dell'assolo occupato da una singola nota sostenuta. Considerando che l'abilità della chitarra rock si misura spesso in miglia orarie, è fantastico sentire un vero maestro rivelare la potenza che una singola nota può avere se usata correttamente. “I Can't Make Your Way” è così sghemba che mi sembra di averla sentita da ubriaco in uno dei numerosi pub frequentati quando riuscivo a reggere numerose pinte di Guiness. Poi si torna al blues guidato dall'armonica con “Rack My Mind” prima della quasi infantile “Farewell”. La maggior parte delle altre canzoni dell'album segue generalmente lo schema stabilito da queste tracce iniziali, ma una si discosta da tutto: “Hot House of Omagarashid”, un brano stravagante quanto il suo titolo, pieno di effetti sonori gorgoglianti, percussioni latineggianti e un senso dell'assurdo quasi zappiano e con atmosfere che anticipano il debutto di Santana. Oh, naturalmente Jeff Beck si cimenta ancora una volta in un assolo rovente a conclusione del mio brano preferito dell’intero album. Degno di nota anche “Jeff's Boogie”, il brano pensato per mettere in mostra il suo stile chitarristico ma non così infuocato come suggerisce il titolo, sebbene sia abbastanza piacevole. Infine un cenno per la conclusiva “Ever Since the World Began”: un canto funebre di ispirazione gregoriana con il seguente testo: “Fin dall'inizio del mondo/Satana ha perseguitato ogni uomo/Intrappolando il male, se possibile/vi svelo ora il suo piano più grande”. Penso siate d’accordo con me nell’immaginare il buon’anima di Ozzy cantare queste parole. Anche la melodia ha un'aria alla Sabbath, anche se la canzone poi passa a una sezione molto più allegra, con atmosfere hippie, giusto per non farsi mancare nulla in questa zuppa di funghetti da gustare a Eel Pie Island circondati da torsi di manichini svestiti, orsacchiotti abbandonati, e piante che indossano cappelli.

Purtroppo fu un momento breve e luminoso per la band. Una pessima gestione e un'apparente incapacità di capitalizzare il successo portarono Beck ad abbandonare il gruppo e due anni dopo era tutto finito. Ma per il vero sound della Swinging London del '66 non c'è niente di meglio che ascoltare The Engineer!

Side one

  1. Lost Woman
  2. Over Under Sideways Down
  3. The Nazz Are Blue
  4. I Can't Make Your Way
  5. Rack My Mind
  6. Farewell

Side two

  1. Hot House of Omagararshid
  2. Jeff's Boogie
  3. He's Always There
  4. Turn into Earth
  5. What Do You Want
  6. Ever Since the World Began

Elenco e tracce

01   Happenings Ten Years Time Ago (Mono) (02:57)

02   Psycho Daisies (Mono) (01:50)

03   Lost Women (Mono) (03:15)

04   Over Under Sideways Down (Mono) (02:23)

05   The Nazz Are Blue (Mono) (03:07)

06   I Can't Make Your Way (Mono) (02:28)

07   Rack My Mind (Mono) (03:15)

08   Farewell (Mono) (01:32)

09   Hot House of Omagararshid (Mono) (02:48)

10   Jeff's Boogie (Mono) (02:25)

11   He's Always There (Mono) (02:32)

12   Turn Into Earth (Mono) (03:17)

13   What Do You Want (Mono) (03:26)

14   Ever Since the World Began (Mono) (02:07)

15   Lost Women (Stereo) (03:16)

16   Over Under Sideways Down (Stereo) (02:25)

17   The Nazz Are Blue (Stereo) (03:05)

18   I Can't Make Your Way (Stereo) (02:27)

19   Rack My Mind (Stereo) (03:16)

20   Farewell (Stereo) (01:30)

21   Hot House of Omagararshid (Stereo) (02:40)

22   Jeff's Boogie (Stereo) (02:26)

23   He's Always There (Stereo) (02:15)

24   Turn Into Earth (Stereo) (03:06)

25   What Do You Want (Stereo) (03:22)

26   Ever Since the World Began (Stereo) (02:10)

27   Mr. Zero (02:46)

28   Knowing (01:55)

29   Shapes in My Mind (version 1) (02:19)

30   Shapes in My Mind (version 2) (02:43)

31   Blue Sands (excerpt) (00:35)

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