Nella storia del rock non sono molti gli artisti che possono fregiare la loro musica del titolo di "indefinibile". Il perchè lo si evince facilmente. Per creare qualcosa di nuovo, occorre una visionarietà, uno spirito "senza tempo", ed un tocco di genialità che sono prerogative di pochi. Questi artisti oltre a toccare vette altissime compiono un vero e proprio miracolo: rendono il linguaggio impotente.
L' uomo ha cercato sin dalla sua origine un codice espressivo, via via diventato più "preciso", che gli permettesse di comunicare. L'uomo odierno, soprattutto quello occidentale, si è così assuefatto a tali regole comunicative, da non concepire nessun altra forma espressiva. Ha "dimenticato" però, che la sua natura è prima di tutto fatta di sensibilità e istinto. Ed ecco che quando gli capita di dover decodificare un messaggio non riconducibile alle capacità del linguaggio, entra in crisi, perchè deve "ricoordinare" il suo schema cognitivo, anestetizzato dall'abitudine e dall'inerzia. Ora si capisce perchè il termine "miracoloso" è davvero appropriato. Perchè non è facile uscire dalle maglie del codice linguistico, e quando qualche forma d'arte ci riesce obbliga l'uomo a tornare alla sua "primordialità".
Ma se io voglio descrivervi qualcosa, devo per forza usare il linguaggio, perchè è l' unico "mezzo" che possiedo in questo momento per trasmettere le mie sensazioni. Bene, questa è una sfida, e io dovrò affrontare questa sfida. Oppure, se preferite l'inglese, "This Heat".

Loro erano uno dei tanti gruppi della new-wave inglese, con un background che però risale a quando questo termine non era neppure in germe. Charles Hayward, Charles Bullen e Gareth Williams decisero infatti di mettere le loro competenze al servizio di questo progetto nel 1975. Dopo due EP e un omonimo primo album, pubblicarono (si vabbè, si fa per dire...) questo disco nel 1981.

Si parte con un sibilo che fa da intro ad una batteria semi-tribale, sporcata da un effetto in studio volutamente in low-fi, nel frattempo una voce dal baritono delicato intona una ninna nanna industriale.
Avete presente un punto interrogativo? Bene, i primi secondi imbevuti di minimalismo chitarristico di "Paper Heart" ci somigliano proprio, in seguito arriverà un coro di malati di mente a "cantare" con tono anemico un salmo. Tutto sembra assestarsi, ed invece un'esplosione di free-jazz squarcia questo cielo plumbeo, che torna ad incupirsi grazie ad un ossessivo groove di basso.
Evidentemente dei bambini devono essere entrati nella sala strumenti e ci stanno giocando. Ce n'è uno che suona il clarinetto, e non è nemmeno stonato, meno male che si ode la voce di un adulto, anzi due, ma questo che fa? Invece di sgridarli li accompagna al canto, e a tutto questo dà pure un titolo: "Triumph".
L'incalzante batteria e l'epica chitarra di "S.P.Q.R." sembrano la versione per schizofrenici di "Pride" degli U2.
Sta a vedere che "Cenotaph" è pure "orecchiabile", con le sue scintille di chitarra e il suo ritmo svogliato. Praticamente un post-rock riportato ai tempi di quando si chiamava ancora rock, o new-wave, fate voi.
Questa volta gli psicopatici entrano in discoteca e vagano pericolosamente fra tribalismi africani tanto di moda tra le contaminazioni dell'odierna house.
"Radio Prague" è un tic nervoso che suona e cerca di sintonizzarsi sul radiogiornale. Punto.
L'atmosfera teutonica di "Makeshift Swahili" porta il progressive nell'era industrial, triturandolo in un vortice sonoro estenuante, che si perde in un buco nero supersonico.
L' idea di musicare una danza del ventre industriale poteva venire solo a loro, può sembrare un paradosso, ma vi assicuro che "Independence" suona proprio così.
Ed eccoci giunti a "A New Kind Of Water", che i tre hanno sapientemente collocato come traccia conclusiva. Per quale motivo? Perchè è quella che si avvicina di più al concetto tradizionale di "canzone", ma lo fa a modo suo. Praticamente è come un miraggio, sembra ciò che non è, quindi si può considerare il capolavoro nel capolavoro.
Attraverso sonorità più convenzionali infatti, i This Heat creano qualcosa di non convenzionale. Il requiem di un'intera civiltà. Della nostra civiltà. Una batteria che spara colpi di pistola in fronte a quella maschera di rifiuti che sorride beffardamante in copertina. Quella maschera l'abbiamo indossata tutti, anche solo per un momento, e quella chitarra che mette tanta paura non è altro che il suono delle nostre menzogne. E il brano di cui stiamo parlando non è altro che uno dei più "rivoluzionari" della storia del rock.

Io ho cercato di affrontare la sfida, ma ne sono uscito sconfitto.
Ma sono contento di aver perso per opera della bellezza.

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