“Father do you hear me, do you know me do you even care? What will you say when you see my face?” cantava Jeff Buckley nel 1995.
Inizio questa recensione su “Dream Letter: live in London 1968” citando Jeff, il figlio di Tim Buckley, perchè, non so voi ma io, amandoli entrambi, non riesco a pensare all'uno senza pensare anche all'altro. Inoltre questo disco prende il titolo dalla seconda canzone che Tim dedicò al figlio. Non è quindi così fuori luogo menzionare Jeff in questa occasione. Comunque...
Se si pensa a Tim Buckley ci si immagina un uomo solo, di bell'aspetto, perso nei suoi pensieri e teso verso la realizzazione di ciò che il suo smisurato talento musicale gli ha imposto di realizzare. Un po' come ce lo mostrano le copertine dei suoi dischi, insomma. Tutto questo a qualsiasi costo anche a costo di abbandonare un figlio, rimanere impopolare benchè conosciuto o di perdersi. E se si pensa alla posta in palio non è nemmeno difficile comprendere che il suo talento l'abbia portato a concepire con “Starsailor” una musica così complessa e dura. Ma non è sempre stato così.
Lee Underwood, chitarrista e amico di Tim, nel libretto del doppio Cd ci racconta che ai tempi di “Dream Letter” le canzoni di Tim Buckley andavano alla radio e a Los Angeles c'era un enorme cartellone pubblicitario di “Goodbye and Hello” che dava su Sunset Strip. Buckley era felice in quelli che Lee Underwood definisce “Glory Days”; o almeno era tanto felice quanto uno spirito inquieto come lui può esserlo.
Aveva poi una bella casa sulla spiaggia di Venice dove viveva con Jeanie Goldstein, musa celebrata nella canzone “Song for Jeanie”; suonava di notte e di giorno stava sulla spiaggia. Non male come vita... In più quando si esibiva lo faceva in compagnia dei più bei nomi del panorama canzonettistico californiano e non.. Non era una stella, ma il pubblico non gli mancava.
Nel '68 Tim aveva già pubblicato tre album: “Tim Buckley”, “Goodbye and Hello” e “Happy Sad”. E per questo live, per motivi di carattere economico, non potè portare con sè tutti i musicisti che avevano suonato su “Happy Sad” e che suoneranno su ”Blue Afternoon”: the “Modern Jazz Quartet Of Folk”, come qualcuno chiamava la band. C'erano il già citato Lee Underwood alla chitarra e David Friedman al vibrafono, ma Carter C.C. Collins (percussioni) e John Miller (Contrabbasso) rimasero a casa. Miller venne sostituito degnamente da Danny Thompson dei Pentangle, formazione in qualche maniera gemella di quella di Tim.
Il concerto venne presentato al pubblico da un tizio che sedeva in prima fila quella sera del 10 Luglio 1968 alla Queen Elizabeth Hall. Un perfetto sconosciuto cui Tim regalò l'inaspettato piacere di far da cerimoniere. Un concerto informale questo, quotidiano, in cui a far da padrone di casa, e non poteva essere altrimenti, fù la voce portentosa di Tim. Si iniziò con un arpeggio di chitarra 12 corde sostenuto poi dal contrabbasso e dal vibrafono; succesivamente la chitarra elettrica introdusse la melodia e poi: “Just like a buzzing fly, I came into your life and now I float away, like honey in the sun...".
Così esordì Tim, ma non mi dilungherò nel racconto del concerto. Preferisco alcune considerazioni: Nel suono Jazz-folk della band di Tim, una menzione particolare credo la meriti David Friedman che col suo vibrafono a parer mio caratterizza tutto il periodo “Happy Sad” - “Blue Afternoon”. David Friedman sa rendere a meraviglia il mood delle canzoni donandovi a volte slancio, come nel caso di “Buzzing Fly” appunto o “I've been out walking” (inedita) e a volte donandovi una sospensione melanconica carica di spleen, come nel caso di “The Troubadour” (altro inedito) e “Carnival Song” (non la “Carnival song” di “Goodbye and Hello” ma una “Carnival Song” tutta nuova). Ed è proprio questa la cifra stilistica del Buckley di quel periodo.
Questi passaggi lenti, al limite dell'immobilità nei quali Tim ricorda il passato letteralmente o sotto metafora e lo espone al pubblico che catarticamente ne partecipa. Tim rimane poi con la voce così sospesa nella tensione della sofferenza per momenti che paiono interminabili, con la stessa forza e compostezza con cui ha accettato il suo destino. A questi episodi fanno da contraltare i brani che Tim canta accompagnandosi solo con la sua chitarra: “Pleasant Street” che sfocia nella cover “You keep me hangin' on” e soprattutto “Wayfairing Stranger”, che poi diventa “You got me running”; brani nei quali Tim pare voglia scaricare la tensione accumalata nei ritmi lenti attraverso la velocità e la foga esecutiva. È un pò come se dovesse dimostrare a sè stesso e agli altri che sebbene le sue scelte avessero un prezzo, tutto sommato ne valeva la pena.
Questa istanza mi pare ancor meglio sintetizzata nell'accoppiata “Dream letter” - “Happy time”. “Dream letter”, terminato il suo lento incedere, si scioglie in un arpeggio della 12 corde in tonalità minore. Dall'arpeggio, dopo una breve stasi, si passa a una pennata lenta sempre in tonalità minore. Poi una modulazione e siamo in tonalità maggiore. Il ritmo della pennata si fa sempre più veloce e Tim attacca a spronare sè e gli altri con mugolii ed acuti. Gli altri gli vanno dietro e iniziano a giocare a “Happy Time”. Senza nessuno stacco si è passati dalla lenta tristezza della lettera immaginaria inviata a Mary Guibert e a Jeff, alla coinvolgente felicità che solo la musica sa dare (“It's a Happy time inside my mind when a melody does find a Rhyme...” ).
Già ho detto di David Friedman che è sugli scudi anche nei momenti più romantici come “Phantasmagoria in Two”, o più espressionisti come in “Hallucinations” ma non gli è da meno Lee Underwood che con i suoi reef doppia la voce di Tim in “Morning Glory”, “Dolphins” (meraviglia di Fred Neil) e nella conclusiva “Once I was”. In tutte le altre canzoni la sua chitarra incrocia perfettamente le linee armoniche di Friedman partecipando a ricreare le emozioni sopra esposte. Stesso discorso vale per Danny Thompson che aveva alle spalle una lunga carriera di session man e che quindi si è facilmente integrato nonostante dovesse suonare parti sconosciute fino al giorno prima.
Questo è il Buckley che preferisco: un Buckley più jazz, più comunicativo, meno avanguardista e per nulla funky; un Buckley cui la vita ha già riservato qualche scherzo, ma che non è ancora intristito e disilluso come sarà negli anni 70. Il Tim Buckley degli anni 70 farà tre album proprio brutti (“Greettings from L.A.”, "Sefronia” “Look at the fool” ) che comunque contengono qualche perla (“Sweet Surrender”, “Because of you”, “Sefronia” e “Look at the Fool”) e tenterà pure una strampalata carriera nel cinema. Quel Tim Buckley incontrerà Jeff dopo un concerto e passerà con lui le vacanze di pasqua del 1975. Due mesi dopo morirà di overdose. Jeff dopo aver desiderato il padre per 8 anni se ne vedrà privato nuovamente.
Non lo si può quindi biasimare se anni dopo canterà: “Father do you hear me...”
Elenco tracce e testi
02 Buzzin' Fly (06:13)
Just like a buzzin' fly
I come into your life
Now I float away
Like honey in the sun
Was it right or wrong
I couldn't sing that song anyway
Oh, but darlin'
Now I remember
How the sun shown down
And how it warmed your prayin' smile
When all the love was there
You're the one I talk about
You're the one I think about
Everywhere I go
And sometimes honey
In the mornin'
Lord, I miss you so
That's how I know I found a home
That's how I know I found a home
Oh, hear the mountains singing
Lord, I can hear them ringing, darlin',
Out your name
And tell me if you know
Just how the river flows
Down to the sea
Now I wanna know
Everything about you
I wanna know
Everything about you
What makes ya smile
What makes ya wild
What makes ya love me this way
Darlin' I wanna know
Darlin' I wanna know
You're the one I talk about
You're the one I think about
Everywhere I go
And sometimes honey
In the mornin'
Lord, I miss you so
That's how I know I found a home
That's how I know I found a home
A-walkin' hand in hand
And all along the sand
A seabird knew your name
He knew your love was growin'
Lord, I think it knows it's flowin'
Thru you and me
Ah, tell me darlin'
When I should leave you,
Ah, tell me darlin'
I don't want to grieve you....
Just like a buzzin' fly
I come into your life
Now I float away
Like honey in the sun
Was it right or wrong
I couldn't sing that song anyway
Oh, but darlin'
Now I remember
How the sun shown down
And how it warmed your prayin' smile
When all the love was there
You're the one I talk about
You're the one I think about
Everywhere I go
And sometimes honey
In the mornin'
Lord, I miss you so....
04 Morning Glory (03:43)
I lit my purest candle close to my
Window, hoping it would catch the eye
Of any vagabond who passed it by,
And I waited in my fleeting house
Before he came I felt him drawing near;
As he neared I felt the ancient fear
That he had come to wound my door and jeer,
And I waited in my fleeting house
"Tell me stories," I called to the Hobo;
"Stories of cold," I smiled at the Hobo;
"Stories of old," I knelt to the Hobo;
And he stood before my fleeting house
"No," said the Hobo, "No more tales of time;
Don't ask me now to wash away the grime;
I can't come in 'cause it's too high a climb,"
And he walked away from my fleeting house
"Then you be damned!" I screamed to the Hobo;
"Leave me alone," I wept to the Hobo;
"Turn into stone," I knelt to the Hobo;
And he walked away from my fleeting house
05 Dolphins (06:39)
Sometimes I think about Saturday's child
And all about the times when we were running wild
I've been out searching for the dolphins in the sea
Ah, but sometimes I wonder, do you ever think of me
This old world will never change the way it's been
And all the ways of war won't change it back again
I've been out searchin' for the dolphin in the sea
Ah, but sometimes I wonder, do you ever think of me
This old world will never change
Lord, I'm not the one to tell this old world how to get along
I only know that peace will come when all our hate is gone
I've been a-searchin' for the dolphins in the sea
ah, but sometimes I wonder, do you ever think of me.
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