I Today Is The Day sono un gruppo di Nashville, capitanati dal controverso leader Steve Austin.
Esordiscono con l'eccellente "Supernova", ma la consacrazione avviene solo grazie al successivo "Willpower", uscito nel 1994 e probabilmente ancora oggi il miglior lavoro della band.

Il terzetto (oltre ad Austin vi sono il batterista Brad Elrod e il bassista Mike Herrel) assimila le lezioni che gruppi come Metallica, Unsane e Napalm Death avevano insegnato nel decennio precedente, e perviene alla creazione di un genere composito contenente sia accelerazioni thrash, foga grind e caos noise, ma anche vaghi accenni al progressive e al math-rock. Il sound ottenuto è viscerale, caustrofobico, in una parola, terrificante. Qualcosa di unico che vagonate di pallidi imitatori hanno cercato invano di emulare. "Willpower" rivela al mondo la nascita della più importante band estrema dei secondi anni '90.
L'intro della title-track mette subito le cose in chiaro. Voce femminile frustrata squarciata a dovere dall'imponente muro sonoro imbastito dal trio, con un basso predominante alla quale si alternano violente scudisciate di chitarra. Ma è la seconda parte del pezzo ad essere fenomenale, con Austin protagonista, intento ad intonare una dolce ninna-nanna sotto un vellutato sottofondo strumentale.
"My First Knife" segue lo stesso schema, ma ritorna a picchiare nel finale. Seconda canzone, secondo centro.

"Nothing To Lose" parte lenta, sale di tono col passare dei minuti, fino ad esplodere nella concitata conclusione. "Golden Calf" si candida a miglior episodio del disco; spoken words iniziali, seguite da una melodia avvolgente accompagnata dal bisbiglio psicotico e impaurito di Austin, preludio ideale all'epico ritornello. "Sidewinder" è un altro capolavoro, una complessa composizione fatta di prodigiosi attacchi frontali, riff impazziti, parole accennate, urla deliranti; pause, stacchi, progressioni e ripartenze si alternano per tutta la durata del brano. "Many Happy Returns" è uno show del gruppo, che esibisce al meglio tutte le sue doti. Chitarrismo impeccabile, canto truce, sezione ritmica glaciale. Austin si destreggia egregiamente anche nella struggente "Simple Touch", brano incantevole, ricco di pathos. "A Promised Land" tocca l'arduo compito di chiudere il disco; supera l'esame a pieni voti.
L'atmosfera si fà sempre più cupa, tragica. Il canto (?) non è mai stato così straziante.

In conclusione un album terribilmente intenso ed avvincente, ricco di idee e spunti interessanti. Il secondo tassello della stratosferica e speriamo ancora fruttifera carriera della setta di Nashville. Chi cerca una nuova concezione della violenza e dell'estremismo in musica, ha trovato il Paradiso. Tutti gli altri, si mantengano a debita distanza.

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