Cambia la dicitura in copertina, ma non la sostanza: dopo il formidabile trittico formato da "Road To Bayamon" del 1988, "Poor Man's Dream" del 1990 e "Hurricane Season" del 1991 sparisce il nome Tom Russell Band, ma è solo un dettaglio marginale: infatti il membro più stabile e più importante del gruppo, il chitarrista Andrew Hardin rimane ben saldo al suo posto a fianco di Tom Russell e, almeno per un album, anche il sound continua la tradizione dei suoi predecessori. "Box Of Visions" del 1992 è infatti il disco più strettamente rock tra quelli intitolati al solo Tom Russell; non è uno dei suoi lavori migliori in senso stretto ma rimane tuttavia un album assai piacevole ed interessante; la sua caratteristica più importante è quella di essere senza ombra di dubbio il lavoro più "internazionale" di Russell, decisamente meno legato all'ambientazione americana rispetto ai suoi predecessori e, in misura ancora maggiore, ai suoi successori.

Il sound di "Box Of Visions" è marcatamente folk-rock, molto più rock che folk come si può intuire fin da subito, fin dall'indiscusso ed emblematico brano di punta dell'album: "Angel Of Lyon", una canzone che parla di visioni, di sogni, di spiritualità ma soprattutto di una ricerca interiore, del bisogno di colmare un vuoto esistenziale che una vita benestante non riesce a sopire. Tra i tanti personaggi cantati da Tom Russell questo clochard per vocazione, questo "vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione" è uno dei più particolari e suggestivi, e questo incalzante e visionario midtempo che trova il suo apice nel potente assolo di Andrew Hardin trasmette alla perfezione la tensione interiore e la ricerca nobile e disperata del nostro anonimo personaggio; questa stupenda canzone ha conquistato anche un noto cantautore italiano, che l'ha omaggiata con una bella cover riadattata al suo stile inconfondibile. Da un personaggio all'altro, la vena rock che pulsa florida nell'album continua con un ritratto a tinte forti e contrastanti di una giovanissima ballerina che inseguendo il suo sogno finisce vittima della sua fragilità, perdendo per sempre la sua innocenza e la sua libertà; questa è la deliziosa, vivace e frizzante "Annette", impreziosita da tastiere e dall'ispiratissima chitarra di Andrew Hardin, più che mai incisivo e determinante in quello che è a tutti gli effetti il "suo" album, come dimostra anche nel rock classico, quadrato e trascinante di "Hong Kong Boy", in "Waterloo", più orientata verso un country-rock più ironico ed americaneggiante, con una steel guitar in grande evidenza e nella ballata più tesa, elettrica e di maggior spessore dell'album, ovvero l'amara "Manzanar", la storia di un immigrato giapponese che in seguito all'attacco di Pearl Harbour viene internato in una prigione nel deserto, insieme a tanti altri suoi connazionali senza alcun motivo, una pagina buia e troppo spesso dimenticata della storia degli USA durante la II Guerra Mondiale, raccontata con la consueta sensibilità e maestria, con una dolcezza apparente che nasconde il senso di impotenza e di umiliazione che caratterizza questa intima, struggente e particolare canzone di protesta.

Parlando di ballate, queste ultime sono un po' la croce e delizia di "Box Of Visions": a parte "Manzanar", tutte le altre sono più o meno legate a temi amorosi ma alcune di queste non convincono appieno, ad esempio "Purgatory Road" è interessante per il suo testo che parla di religione, e di come questa può condizionare in negativo i rapporti tra le persone, ma musicalmente suona come una rock ballad abbastanza anonima, "Heart Of Hearts", arricchita da un sax e la semiacustica "Coney Island Moon" sono dolcissime canzoni d'amore, molto belle nel loro genere ma da uno come Tom Russell ci si aspetta sempre qualcosa di più, un tocco più personale, qualcosa come "Wedding Dress Mary", un meraviglioso e gentile walzer, sognante, impreziosito da un testo splendidamente visionario e dal carezzevole suono di un violino; l'episodio più strettamente folk di tutto il disco insieme ad un'altra perla, non più bianca ma nera ed inquietante: "Blood Oranges"; un'altra storia, quella di un ricercatore arrivato in Marocco per studiare una tribù nomade che và incontro ad un destino inatteso. La canzone è interamente acustica, gli arpeggi di Russell e Hardin ricreano alla perfezione un'atmosfera mediorientale carica di mistero e tensione, il cantato è scarno e suggestivo, ed affascina per il distacco quasi feroce con cui racconta questa vicenda fino al suo tragico e beffardo epilogo.

A porre il suggello definitivo su quest'album è "Box Of Visions" (qui in un bellissimo duetto con Iris DeMent datato 1997), altro episodio acustico, quasi una dolce ninna-nanna dedicata al figlio Shannon, che si distingue oltre che per la sua candida ed assoluta semplicità anche per un testo poetico e intriso di visioni: "A song is just a box of visions, you can't unlock it with a key, a message rolled into a bottle and dropped into the salty sea, a song is just a box of visions, a jar of hearts, a gypsy's ear, a labyrinth of wild roses, a journey through the house of mirrors". Nonostante un paio di episodi meramente riempitivi, "The Extra Mile" e la già citata "Purgatory Road" questo è un bellissimo album, che rispecchia perfettamente il suo titolo meritando quattro stelle piene; oltretutto, un Tom Russell così rock non lo sentiremo praticamente più; "Box Of Visions" chiude definitivamente un ciclo e lo fa alla grande, seppur risultando leggermente inferiore ai tre album targati Tom Russell Band.

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