Per questo disco vorrei partire dalla copertina, firmata dal grande fotografo Marcus McMillan in arte Keef. Un tronco di albero morto immerso in uno stagno, o palude che sia, riesce a produrre ancora linfa liquida che viene raccolta in un contenitore sotto lo sguardo di una cicogna: bellissima! La firma di Keef sigla numerose copertine famosissime; cito tra tutte "Valentine Suite", con quella donna eterea che ritroviamo pure nella copertina di "Nirvana - Local Anaesthetic". Che dire poi degli effetti di solarizzazione - o, meglio, forse, di foto con pellicola infrarossi - di "Indian Summer" o dell'omonimo dei "Black Sabbath"? La Vertigo devo molto ai suoi lavori che, agli inizi degli anni '70, hanno popolato interi scaffali di negozi di dischi.

I Tonton Macoute sono inglesi e questo è il loro unico lavoro pubblicato dalla Neon nel 1971, ristampato, per chi volesse approfondire, dalla Repertoire nel '94.

Le origini del gruppo risalgono al 1968: con il nome di Windmill lavorano in Germania come cover band ed incidono anche un paio di singoli. Nella metà del '70, ritornano in patria e comincia la loro avventura progressiva dopo l'adozione di un nuovo nome, ora ispirato alla milizia del dittatore dello stato di Haiti. Il gruppo è saldamente nelle mani del batterista Nigel Reveler e del tastierista-cantante Paul French; con loro ai fiati Dave Knowles ed alla chitarra ed al basso Chris Gavin. Dopo questo album, purtroppo, lo scioglimento, dovuto al fallimento della Neon Records. Ritroveremo, anni dopo, Reveler come produttore dei primi Cure.

Dai solchi del disco viene fuori uno stile prog molto legato al Jazz Rock, lunghe escursioni di flauto, che a volte richiamano i Traffic, e poi un sax contralto con voce solista a tratti troppo cruda, ma, comunque, ispirata. A questo punto, mi viene in mente un audace paragone con il Van The Man ultimo, incapace di incisività con il suo contralto, spesso strozzato sugli acuti ed incerto nel ritorno sugli accordi a fine giro.

Ad ogni modo, il nostro Knowles si fa perdonare con l'uso del flauto e con gli arrangiamenti fiatistici decisamente apprezzabili della traccia 2.

Tutto il lavoro mi convince per essere ben amalgamato e rotondo anche quando nella traccia 5 scende in territori blues e jazz, dimentico della linea progressiva.

A chi si picca di essere cultore del genere l'onere di scoprire il valore di quest'altra perla del prog!

Ad Maiora, Fratelli!

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