Ci si prova fino in fondo, con un proprio vecchio idolo musicale assoluto, a ravanare nelle sue cose di età adulta per trovarci una stilla del noto talento, un passaggio epocale come ai tempi di gioventù, un grumo di accordi degni della migliore musica classica, un brano che valga un intero disco…

Ma quella con Anthony Banks è una causa persa: è stato un magico compositore ed esecutore dai tempi di “Trespass” coi Genesis fino al crepuscolare, mai abbastanza apprezzato primo album solista “A Curious Feeling”, allo spirare degli anni settanta. Dopodiché la decadenza artistica palesatasi in pochissimo tempo, la misera scelta di mettersi nelle mani e nelle pulsioni di quel canzonettaro rhythm&blues filo-americano del suo (bravo) batterista, mettendosi a suonare “semplice” e quindi banale.

Da quasi cinquanta anni a questa parte l’unica eccezione che conosco al malinconico ridimensionamento di un simile talento, iniziato neanche scoccati i trent’anni d’età, sono i dieci stupendi minuti di “Fading Lights”, anomala e inaspettata chiusura di un album del 1991 dei Genesis per tutto il resto ampiamente soprassedibile. E quella resterà, perché siamo da mo’ in fase pensionistica per Tony, e c’è da dire che per fortuna sia così.

Questa sua opera del 1995 aveva al suo interno uno spunto che forniva speranza: una suite finale di oltre 17 minuti dal suggestivo titolo “An Island in the Darkness”… Niente invece, me la sono ascoltata e riascoltata ogni tanto negli anni, sperando di ricredermi ma invano. Non si è sollevata dalla piattezza che mi aveva suggerito già ai suoi primi ascolti: non ha nessuna magia, nessuno spunto che possa scaldare il cuore di chi, come me, ha incistato nei quartieri nobili della propria memoria tutto ciò che questo tizio ha creato e suonato per tutti gli anni settanta.

Per dovere di info aggiungo che il Banks, in quest’opera e solo in questa, si presenta associato con Jack Hues il cantante storico dei Wang Chung (quelli di “Dance Hall Days”, pop new wave anni ’80). In effetti l’album sarebbe tecnicamente da accreditare al gruppo Strictly Inc. e non come prova solista, ma poco cambia le composizioni sono tutte di Banks, musiche e testi. Hues d’altro canto è un cantante decente ma niente di speciale, non certo capace di apportare alle musiche ed esecuzioni di Banks un qualche valore aggiunto.

Gli altri suonatori presenti sono tutti professionisti e professionali ma diavolo, mancano i pezzi, i passaggi memorabili, che siano novità oppure le cose già sentite ma sempre belle… E’ un disco di pop rock con intenzioni commerciali ma senza potenzialità commerciali, quindi inutile, a tutti i livelli. E perciò un logico flop, l’ennesimo di Tony Banks al di fuori dei Genesis tranne quell’eccezione già sottolineata.

Tony Banks il principale e più talentuoso compositore del trio Genesis di lungo corso… eppure i soldini li hanno fatti di più i suoi due soci! Collins poi a pacchi, esageratamente, ma anche Rutherford coi suoi Mike & the Mechanics, almeno per qualche anno. Lui non ha toccato palla, è rimasto a guardare, senza minimamente voltarsi indietro, accettando di essere negato per il pop. E’ un cruccio per me che quest’uomo, simpatico il giusto ma con in testa e nelle mani la capacità di generare partiture romantiche degne dei tempi d’oro di inizio secolo scorso e di buona parte di quello precedente, si sia buttato via così. Convinto, poi, di aver fatto la scelta giusta.

Giusto e opportuno evolvere nel corso di una vita professionale ed artistica, ma quando quest’evoluzione è solamente un salto indietro, una banalizzazione, un calpestare il proprio talento, tanto sarebbe valso restare nel certo, nell’ambito conosciuto, in quel rock “artistico”praticato da giovane e che a suo tempo ha marcato a fuoco molti appassionati di musica.

Contento lui… che si è sempre profuso in spiegazioni e giustificazioni ed orgoglio a proposito di questa sua evoluzione/involuzione musicale. Io contento per niente, e quando mi casca l’occhio su questo dischetto in ciditeca, passo oltre stizzito e cerco qualcos’altro da ascoltare.

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