Avvertenza #1: maneggiate con cura forum, boards, scambi di opinioni in fila al supermercato con chiunque abbia ascoltato venerato idolatrato e condiviso orgasmi con la Tori Amos 1992-2001. L'obiettività è arma difficile da utilizzare (o recuperare, a seconda dei livelli di disperazione) in tali circostanze.
Avvertenza #2: ascoltate il disco una volta, tutta, dalla prima all'ultima, e poi iniziate a tagliuzzare, spostare, in poche parole editare a vostro piacimento e secondo gli stimoli dei vostri apparati sensoriali (dall'udito in giù - o su). Non sarebbe nostro compito, e condivido, ma l'autrice stessa ha indicato i suoi ultimi lavori come "omni-comprensivi" anche di quelle che, bei tempi fa, erano le tanto attese e amate b.sides, quindi tant'è. Non le si può fare una colpa se, dal suo canto, crede di fare un favore inserendo in tracklist brani che sarebbero finiti solo su lati b di dischetti venduti a 10.000 lire e che, in effetti e purtroppo, ora come ora faremmo quasi a meno di vedere sbrillucciare in scaletta.
Insomma, per dirla breve e per sua stessa ammissione, la cantantautrice in questione non ha grandi doti di autocastatrice. "You can write but you can't edit", diceva Regina Spektor, e non si può che concordare.
Specificato ciò, passate all'ascolto, tenendo a mente che gli anni son quel che sono, e pesano (checchè si provi a scacciarli via con fotografie ammicanti e ridicolosamente vittime di photoshop e similia, o visualettes dal voluto sapore amatoriale che risultano invece, nella maggior parte dei casi, più o meno inutili o fuori luogo), le voci non possono essere più quelle di una volta (ma si son sentiti tempi peggiori) e, sopratutto, che una donna non può sempre stare lì a sbrolodarci (seppur con nostro immenso godimento) le sue elucubrazioni su polli che assaggiano la tua carne, aborti mai metabolizzati, relazioni interpersonali con mezzo sistema solare e cammini di Santiago.
A questo punto resteranno 17 canzoni (18 più la bonus track "Oscar's Theme" che, dedicata o meno al suo nuovo cagnolino, è una canzoncina deliziosa) di cui quasi una decina andrebbero promosse con voti più che dignitosi.
Andrebbero, è doveroso specificarlo. Perchè, come si accennava, il pregiudizio è la peggiore delle ingiurie. Quasi quanto il luogo comune. Quasi quanto il terrore della non-appartenenza. Sicuramente più dell'autoinfliggersi una sofferenza quale l'ascolto di tale immondizia musicale (parafrasando opinioni leggiucchiate qua e là).
Fra quella decina di supersiti, giusto per fare qualche nome, magari la vostra attenzione sarà catturata dal giro di piano forse un pò già sentito ma sicuramente ammaliante di "Curtain Call", poco velata critica al vetriolo nei confronti di una realtà discografica che non dà quasi mai quello che promette, o dalle linee vocali (volutamente, e fatevene una ragione) pompate della teatrale "That Guy", o ancora dalla classicità di repertorio di "Ophelia" che sceglie sempre gli uomini sbagliati ("Change Waltzes In With Her Sister Pain", ti ringrazio Mary Ellen per saper scrivere ancora queste cose) o la disperazione velata della "Lady In Blue" che ha lasciato andare il suo unico uomo giusto.
"Lady in blue", per l'appunto: non si sentiva qualcosa del genere da un paio di dischi almeno. Un brano che dal vivo si ritrova denudato e sincero ancor più che nella versione su disco.
E ancora "Starling" e "Flavour", giusto connubio fra il viaggio verso Venere e gli approcci musicali (spesso non riusciti, mica siamo sordi) delle ultime annate, "Fast Horse" che ricalca tematiche e sonorità di quel gioiello a tutto tondo (e anche qui ci sarebbe da discutere su quanto sia tutt'oggi sottovalutato e bistrattato) che è "Scarlet's Walk".
Poi ci sono "Welcome To England", dalle basse pretese ma furbo quanto basta che se fosse cantato da qualcuna vent'anni più giovane girerebbe in radio il triplo di quanto fa ora, "Abnormally Attracted To Sin" dalle venature spaziali e "Give" a fungere da cristallina dichiarazione d'intenti.
Fra il resto, ve lo concedo, c'è qualcosa che farebbe rigirare nella tomba gli stessi padri chiamati in causa da Ofelia. "500 Miles" è imbarazzante quanto le peggiori sigle anni '80 di Cristina D'Avena e, restando sempre nello stesso decennio, "Police Me" è uno scarto palese di "Y Kant Tori Read".
Assieme a loro, almeno altri due brani che meritavano quella auto-censura a cui prima si accennava.
La vita è fatta di scelte difficili e nel 2009 Tori Amos si sente (erroneamente) così sicura di sè e delle sue capacità da non volersi più mettere in discussione. Se capirà quanto di sbagliato ci sia in una politica simile, decidendo di rimettersi in gioco a tutto tondo, o se continuerà a perpetuare su questo angusto cammino, non sta a noi decretarlo. Quello che ci si confà è ascoltare il lavoro di un'artista che ha saputo farsi valere in modi che meritavano e, sopratutto ora, meritano ancora il nostro rispetto. L'opinione personale, non sia mai, è uno stadio immediatamente successivo e sicuramente di fondamentale valore: nostro è sempre il potere di supportare o non supportare economicamente il prodotto in questione.
Intanto potremmo iniziare con lo schiarirci un attimo le idee e lasciare per un momento che l'obiettività, nel bene e sopratutto nel male, abbia la meglio.
Se farete così, forse (ma solo forse, e senza alcuna accusa) vi ritroverete anche voi ad apprezzare qualcosa di questo decimo e tanto atteso lavoro della conturbante e oltremodo sbavante pianista trapiantata in Inghilterra con tutto il suo sole.
Se così non sarà, pazienza. Non è una gara a recuperare il salvabile, perchè comunque non si vive di sola Tori Amos.
E grazie al cielo.
Carico i commenti... con calma