"Europe Is Dead": un titolo che farebbe subito pensare all'ennesimo esaltato intento a ricalcare le gesta leggendarie di entità quali Current 93, Death in June, Sol Invictus e, nello specifico, certe vedute nostalgiche o concetti sulla decadenza della vecchia gloriosa Europa e il declino dell'Uomo, ripetuti fino allo stremo dagli ultimi due citati (e non solo).

E invece no. Niente wannabes apocalittici. Siamo davanti ad un disco grandioso, concepito da un personaggio non certo nuovo all'interno della scena industriale di matrice novanta, il prolifico e mai troppo celebrato Henrik Nordvargr Björkk

Björkk non è certo uno sprovveduto, molti infatti sono i progetti che il mercato ha accolto in qualcosa come un ventennio: tra gli altri il dark ambient proposto con l'aka Nordvargr, le derive power-electronics sotto Hydra Head Nine, il black metal sperimentale di Vargr, il noise intrapreso sotto le vesti di Muskel, l'industrial marziale-nazistoide stavolta permeata di power-noise - e dell'archetipo più distruttivo - disseminata sotto l'act Folkstorm, l'ebm dei Pouppée Fabrikk, le sperimentazioni multiformi destinate al suo nome reale in tempi piu recenti, le collaborazioni con luminari rumoristi del calibro di Merzbow e Lasse Marhaug, ma soprattutto la celeberrima black industrial di quello che è senz'altro il suo progetto più osannato, e a mio parere anche il piu sopravvalutato, Mz.412. Insomma, parliamo di un personaggio pesantemente involto in gran parte delle ramificazioni della scena post-industriale, e che ovviamente non poteva non esimersi dal buttarsi anche sul (neo)folk apocalittico, tramite l'alias Toroidh, che suona sì molto vicino a quanto sentito in territori Folkstorm, ma sfoggiando un piglio più oscuro, più tragico e di gran lunga meno spinto, decisamente memore di vecchie battaglie experimental-esoteriche svoltisi in terra inglese piuttosto che il suono freddo e spettrale più tipico della nativa Svezia - vedi Cold Meat - nonchè del suo iter artistico stesso, un iter che ne ha fatto nome seguito e molto rispettato, in particolare su panorama dark ambient.

"Folk music from the times when history was written in black and white and coloured in red". Così Nordvargr ci presenta l'opera; facile dunque prevedere cosa aspettarsi; su "Europe Is Dead" si scorrono infatti nient'altro che i medesimi grigi e consumati album di fotografie risalenti ad un arco di tempo ben preciso, tematiche di inizio '900 che furono di Folkstorm e prima ancora di Blood Axis e Der Blutharsch, con tutto il campionario di atmosfere guerrigliere, marcette usurate e fanfare militari, sommandovi però un chitarrismo - ad opera di Jouni Ollila, compagno di tanti altri progetti - che pesca a piene mani da figure quali Michael Cashmore e Tony Wakeford. Non un lavoro originalissimo, tutt'altro che una ventata d'aria fresca all'interno del movimento, questo è chiaro, ma è altrettanto indubbio come si tratti di un album riuscitissimo, suggestivo e trasportante, perverso nel suo morboso citazionismo rigorosamente in bianco e (soprattutto) nero, frutto di un artista ormai nel bel pieno della propria maturità artistica. Un album, "Europe Is Dead", che regge senza troppi patemi il confronto con gli indimenticati mostri partoriti dagli assi che abbiamo avuto modo di citare; si tratta in fin dei conti del Capolavoro di Toroidh, che va detto, difficilmente sotto questo aka si ripeterà a tali livelli, anzi trovo le sue uscite quasi tutte di un livello molto basso, sorvolabili e soprattutto fin troppo debitrici di cose già viste e già fatte. E da tempo anche.

Con "I" Bjorkk apre con un fiero e trionfante walzer tedesco con tanto di campione mussoliniano, prevedibile e fuori luogo quanto adatto ad aprire un lavoro che sin da "II" si farà via via sempre più nero, disagevole ed impenetrabile, virando verso una perenne oscurità, un buio solenne e drammatico a cui lo svedese ben ci abituò col testamento Nordvargr, caratteristiche che troviamo soprattutto nei primi vagiti di questa traccia, con un agghiacciante e minaccioso drone a cui si sostituiscono poi corpulenti battiti marziali, canti monocordi e le schitarrate disincantate di un Ollila intento ad emulare nemmeno troppo velatamente il classico suono di Douglas P., con tanto di accordo abbastanza sputtanato, laddove invece le parti ritmiche e l'approccio in fase di missaggio riportano dritte a quel 'black industrial' di cui il nostro è incontrastato pioniere (un industrial putrida e gelida suonata con un piglio true norwegian black metal).

E' il suono dell'angoscia "III", con quello che è forse il miglior tappeto dronico che Bjorrk abbia mai concepito, droni abnormi e bestiali che ricordano quanto espresso da un nume di questo suono quale è raison d'etre, con tetri rintocchi di campane, sfiorite orchestrazioni a-là Les Joyaux de la Princesse e un chitarrismo stavolta quasi impalpabile, esitante e rilegato a sporadiche apparizioni, lasciando di contro ampio spazio alle calibratissime tessiture catacombali di un Bjorrk più che mai estatico, pur nel suo impeto bellico e sovrumano; stilemi, quest'ultimi, che si ripetono con le apocalittiche "VII" e "IV", che aggiungono però chimes, ornamenti di barocchismo sintetico, discorsi e proclami, mandolini dissonanti, creando un contrasto particolarissimo con il consueto retroscena di dark-ambient (dis)organica, rifiuti rumoristici e il sanguinario marzialismo rigorosamente live.

"V" è probabilmente il pezzo più ambizioso, una colossale suite di diciotto minuti divisa in sette movimenti: il primo dai toni guerrafondai e funerei, il secondo dal retrogusto 'pagano' e con incluso il recitato dello stesso Henrik ("Lead us to war / Lead us to battle / Lead us to victory / Lead us to peace"), che sfuma nel terzo movimento, affidato ad un duetto quasi prog tra organo e tamburo militare. Il quarto segmento lo vede alle prese dapprima con della rumoristica fredda e deviata con cui ultimamente siamo abituati spesso a sentirlo, poi con droni particolarissimi (sorta di claustrofobiche urla dell'oltretomba squartate e lacerate, un pò modello Steven Stapleton); dark ambient di grande spessore nella quinta sezione, ancora una volta prestigiosa vetrina per i mastodontici droni bjorrkiani in tutto il loro squallore, ma adesso intrisi di un minimalismo mantrico, che ripeto, possiamo avvicinare al miglior reison d'etrè, ma laddove questo si apriva talvolta verso scenari neoclassici, o comunque più teatrali, qui è buio pesto, straziante, un dark ambient di Lustmordiana memoria, anche se certamente meno diluito. Rumori di catene, tom rugginosi, droni disintegrati a simboleggiare una sorta di suolo scosso dall'incedere di uno squadrone tra i ruderi di ciò che fù rendono la sesta parte alla stregua del climax - concettuale e non - mentre il settimo e ultimo movimento chiude con un dark ambient d'autore, sul cui sfondo si percepiscono voci non chiarissime, canti che hanno talvolta del surreale, lontani, evocativi, dilanianti, e che lasciano poi al classico reperto storico - alias canzonetta da regime direttamente dal grammofono del terzo reich - il compito di calare il sipario.

Una composizione memorabile, epica, monumentale, che comunque, pur nella sua grandezza, non si erige a vetta del tutto, che è senz'altro rappresentata dal maestoso neo-folk di "VI", un gioiello di sbalorditiva bellezza: giro di chitarra desolante, scarno ma incisivo come tradizione vuole, disumani canti gregoriani inverosimilmente rallentati, coretti asettici alla Douglas P. e il solito stuolo di truculenti marzialismi e droni massicci, ma al tempo stesso ariosi e pulitissimi, di stampo 100 % Nordvargr, una traccia che ci riporta alla mente un masterpiece mitologico del calibro di "But, What Ends When The Symbols Shatter?", ma con un piglio meno estraniante, più chiaro e diretto. Dopotutto siamo lontani da concept macroscopici o dai vortici di emozioni piu disparate che furono le opere '80 della premiata ditta DiJ/C93, ma abbiamo una maestria unica e rimarchevole nel creare suoni/scenari/atmosfere, non molto spesso riscontrabile nelle release dark-ambient, che spesso esclusi i soliti grandi nomi lasciano il tempo che trovano. Curiosa e sorprendentemente ironica la traccia fantasma, una sorta di ska sessantiano intervallato qui e la dai rumori nonsense ricamati dalle macchine dell'a questo punto nemmeno troppo malefico Bjorkk.

Un disco perfettamente bilanciato tra folk apocalittico, dark ambient e sperimentazioni post-industrial di stampo marziale (ma non solo); diciamo pure che "Europe Is Dead" è qualcosa che uscirebbe fuori da una jam tra Deutsch Nepal, Death in June, e lo stesso HNB quando prende le sembianze di Nordvargr, venerabile cerimoniere di un dark ambient evocativo e visionario. Un'opera a cui degnare la dovuta attenzione.

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