Questa recensione ha due lati: una
emotiva, l'altra critica. "Emotiva" in quanto nel Marzo del 1997 a
rientro da scuola, il sottoscritto ignaro di tutto, scoprì la
musica grazie al video di "Discotheque" in onda su MTV in un pomeriggio
qualsiasi. "Critica" in quanto questo disco è stato sbeffeggiato
dai puristi del quartetto di Dublino, costantemente nostalgici della
prima parte della loro gloriosa carriera. Questa è la premessa.
Veniamo a noi. "Pop", nacque insieme al progetto del tour mondiale "Pop Mart Tour", il più
costoso della storia della musica, con megaschermi altissimi, un limone
gigante mobile, un semi-arco parodia di McDonald ed effetti speciali da
film di fantascienza. Sullo sfondo la critica della società dei
consumi, e quindi ancora l'America come centro economico mondiale. La
copertina è palesemente ispirata al lavoro di Andy Warhol. Per
fare ciò, musicalmente parlando, Bono & company conclusero
la loro trilogia degli anni '90 iniziata nel 1991 con Achtung Baby, e proseguita con Zooropa nel '93, con un disco che
sconvolse ancora di più i fan della prima era, con un'
elettronica molto più aggressiva del solito e chiari riferimenti
dance (dub, house, techno)
mantenendo però integra la forma canzone con il loro
riconoscibilissimo stile, molto più di quanto fecero in Zooropa.
Obiettivo? rock + nuova elettronica quindi, secondo la moda del momento
(Aphex Twin, Underworld, Prodigy). Per attuare ciò gli U2
chiamarono in consolle il DJ producer Howie B. e il sound engineer
Steve Osborne, uomini perfetti per questo scopo che aiutarano a portare
a compimento l'ennesima trasformazione camaleontica della band.
Estremizzazioni di questo atteggiamento furono il singolo "Discotheque" (divertentissimo il
video-parodia sugli YMCA), l'allucinante "Mofo" che si troverebbe benissimo
in un qualsiasi lavoro dei Chemical Brothers e "Miami" ipnotico tributo alla
città americana, tomba di Gianni Versace, costruita su un loop
di batteria ed una parte vocale quasi rappata, con l'esplosione
chitarristica nel finale. Pezzi spiazzianti come lo fu anni prima Numb.
The Edge come al solito reallizzò un lavoro straordinario sui
suoni, in un approccio più sperimentale con l'elettronica, e
Bono oltre che ad uno splendido lavoro sui testi, forse il migliore
della sua carriera, (andate a leggere le liriche di "Wake up dead man" o "Please" capolavoro del disco)
condusse la sua voce in una tonalità molto più calda e
soul, a causa soprattutto dei suoi problemi alla gola legati al fumo.
Meravigliose ballad come "Staring at
the sun" e "If god will send
his angels" accompagnano momenti d'impatto come l'epica "Gone" e l'hard rock attualizzato di "Last night on earth". Episodi
minori ma interessanti sono il blues di "The playboy mansion" sostenuta da
uno splendido riff di chitarra wha, e l'oscura "If you were that velvet dress".
Il tour e il disco, nonostanti grandi cifre, andarono al di sotto delle
aspettative, e tre anni dopo gli U2 decisero di ritornare ai fasti
degli esordi con il carino ma poco convincente "All that you can't leave behind".
"Pop" rimane per il momento l'ultimo grande album degli U2
perchè possiede quel coraggio artistico che li ha sempre
contraddistinti sulla scena mondiale. Forte impatto emotivo, ironia e
capacità di rimanere al passo con i tempi non fornendo la
pappina pronta ai fan. Questi sono gli U2 degli anni '90, una band che
ha guardato oltre non scendendo a comodi compromessi, realizzando dei
dischi sicuramente discutibili, ma colmi di carisma. Per questo "Pop"
è da apprezzare, da riscoprire e da comprendere.
Voto: 4/5
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