Marzo 1997: dopo quattro anni di trepidante attesa (esattamente 10 anni dopo il grande "Joshua"), esce il nuovo album degli U2. Indimenticabile la delusione di pubblico e critica dopo l'uscita - anche per il titolo. Gli U2, intervistati da MTV, sono brillanti come non mai, e con una battuta dietro l'altra trasformano le loro interviste in sketch spassosissimi. Ma quando si parla della musica glissano, oppure la sparano grossa: ""Pop" è il migliore album che abbiamo mai realizzato. Questa è la musica del futuro".
Molti vennero colpiti dalla copertina, che non è altro che un plagio creativo di "Let It Be" (album dello scioglimento dei Beatles) e di "Hot Space" (album dello scioglimento "silenzioso" dei Queen). Molti scrissero che, visti i continui litigi in seno al gruppo (a causa del batterista Larry Mullen che si oppose con tutte le forze alla svolta elettronica iniziata con "Zooropa"), questo sarebbe stato il loro canto del cigno, di cui la copertina era il preannuncio visivo.
Le vendite furono fallimentari (7 milioni di copie) se confrontate con quelle di "Achtung Baby" (18 milioni). Ma ancora più fallimentare fu il tour di supporto, il "PopMartTour" (un'imbarazzante esibizione di gigantismo malato e di kitch), con palco immenso e stadi vuoti. Perché questo fallimento? La riposta è ovvia. Perché la metà delle canzoni di "Pop" sono mediocrità senza carattere di cui non avrebbe parlato nessuno se non fossero brani a firma U2. Inoltre, mentre in "Zooropa" troviamo una produzione discutibile ma elegante, qui la sovrapproduzione - sorprendentemente voluta da Edge, un tempo fanatico sostenitore del minimalismo sonoro - è al limite del pacchiano.
Detto ciò, "Pop" non è totale spazzatura. Nonostante tutto, questo album annovera diversi classici della band, benché molto distanti dai loro classici anni 80. In crescendo: "Discotheque" (singolo di lancio leggermente fanfarone, con una musica dance interrotta da un arpeggio scintillante, ma con un testo amaro sull'uso dell'ecstasy che, all'epoca, imperversava nelle discoteche); "Staring at the Sun" (ballata acustica di routine deturpata dall'elettronica inutile, ma memorabile sin dal primo ascolto, e con un testo che parla della lotta dell'uomo per tenere gli occhi rivolti alla luce e non cadere nell'oscurità); "If You Were That Velvet Dress" (splendido lento dolente che sarebbe stato un capolavoro se Edge avesse accompagnato Bono con i suoi arpeggi); "Gone" (grandissima canzone, con un Bono che parla del senso di colpa per avere avuto così tanto cantando canzoni); "If God Will Send His Angels" (forse l'ultimo capolavoro degli U2, con il dolente arpeggio che sostiene alla perfezione il testo quasi apocalittico, e che sarebbe stato un perfetto finale).
Se i nostri non avessero sprecato i tre gioielli del furbo "Zooropa" ("Lemon", "The First Time" e "Stay") e i due numeri da manuale dell'inutile "Passengers" (la toccante "Miss Sarajevo" e il magnifico lento all'organo "Your Blue Room"), oggi gli U2 avrebbero due album in meno in discografia, meno milioni di copie vendute su Billboard, meno soldi in banca, ma un grande album in più nel repertorio. E forse non diremmo che gli U2 sono morti con "Achtung Baby".
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