Dopo la catatonia degli Shorty, Al Johnson e Mark Shippy persistono su una storta e personalissima riga assolutamente longeva.

L'esordio nell'anno post-grungettone del 1995 è del tutto cronologicamente preciso.

Ci voleva qualcuno che facesse rivenire in mente l'alito ubriaco di qualche "shouter" di metà anni Ottanta..

Le luci che spiccavano di più nel mondo dell'arte, ma anche del business, erano il noise scaduto dell'alba di un "Dirty" o rompicapo alla June Of '44. Riportare la spirale del loop e del feedback colorato di Seeds e Red Krayola, stropicciando ritmiche con urli alla Beefheart, è la ricetta su cui attingono in parecchi. Alcuni sono delle meteore, altri sono incomprensi ancora oggi e pochi eletti riusciti a non invecchiare vent'anni dopo.

I said.. do you know U.S. Maple?.

Questo intrigante nome da band industrial di fine anni Settanta ci disturba con un blues alcolico, strafottente, anarchico. Immaginate soltanto dei tizi che, non essendo nati nel Flower Power, deliziano i poveri disgraziati della loro decade. Lanciano la macchina del tempo o l'eterna cura per le menti disgustate dalla pochezza degli istinti bassi. Il nome del primo lavoro è dunque "Long Hair In Three Stages".

E' così impossibile trarre una definizione al blocco mentale che ci scaturisce "Hey King". Un incipit non banalmente sparato a mille.

Quello che viene lanciato nelle nostre orecchie sono succulente idee e armonie psichiche tradotte in musica.

C'è il battito cardiaco, la falsa allucinazione sputata nel buio, il senso di vulnerabilità, la noia, il pensiero che non vorresti fare. Ogni brano presenta ovviamente un ambient disturbante, ma non perchè si vuole aderire severamente alle regole di un genere. Non ci starebbero mai, loro, a questo. Le canzoni, quando finiscono, ci lasciano l'amaro in bocca senza pietà, come se ci sfuggisse sempre qualcosa, come se non ci bastasse mai.

Come fare ad occhi chiusi un abbozzo su un foglio.

"Letter To ZZ Top" non è il solito collage imbrogliato e suonato giusto per riempire un album.

Un album..avete mai pensato a cosa sia un disco? Sarebbe il lavoro di un artista, cioè il mostrare l'anima di chi ha la possiblità di deliziare altri soggetti, aderendo alla categoria del musichiere.

"You Know What Will Get You You Know Where" è l'esempio della loro decomposizione ritmica, pur se altri episodi rimandino ai Jesus Lizard di "Goat", come in "When A Man Says Ow".

Un sound capace di controllarsi e di sgangherarsi grazie ad una voce in trepidazione o a volte in dubbiosi eccitamenti. Per fortuna non si capisce bene la sensazione che vuole trasmetterci Al Johnson. Perchè sta tutto lì.

Ci rende liberi di plasmare il nostro star seduti sui watt della sua band. Le chitarre di Shippy e Rittman si rincorrono nevrotiche fino a trovare quietenegli Eden dei bridge inaspettati, tipo in "The State Is Bad". "Home Made Stuff" e "Stuck" presentano tribali mid-tempo , caracollanti break ed uno sfociare nella centrifuga delle corde.

Come venire inondati dalla saturazione di un jack staccato con l'amplificatore acceso..

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