Le macerie umane di un'anima inquieta sono la materia calda di una Rimini invernale, anti-felliniana in tutto e per tutto. Sulle note di Domani è un altro Giorno di Ornella Vanoni, Valerio Zurlini realizza una scena tra le più belle del cinema italiano: i personaggi principali della vicenda dialogano attraverso uno scambio di sguardi, pregni del disagio esistenziale di una società ormai definitivamente mutata, illuminati e spezzati dalle luci stroboscopiche di Mario di Palma, direttore della fotografia. Il ballo è il topos ricorrente della poetica zurliniana: in "Estate Violenta", Jean-Louis Trintignant e Eleonora Rossi Drago durante una calda notte d'estate riescono a malapena a nascondere l'ardente desiderio di possedersi, l'occhio di Zurlini rivela allo spettatore la loro passione sulle note di Temptation, senza nessun dialogo.

Il cinema aristocratico di Zurlini sarebbe stato impossibile senza la superba carica espressiva degli attori che lo hanno accompagnato nella sua concisa carriera di regista. Ne "La Prima Notte di Quiete" un cast straordinario partecipa al melodramma dalle fosche e passionali tinte da romanzo europeo ottocentesco. Il Professor Daniele Dominici, impersonato da Alain Delon in una delle sue migliori interpretazioni, è l'alter ego di Zurlini, personaggio apertamente autobiografico che non a caso indossa il cappotto cammello ed il maglione verde del regista. Dominici, professore di Letteratura, decide di tornare a Rimini per insegnare in un liceo, qui conoscerà Vanina, sua allieva, da cui si dipanerà l'intera vicenda amorosa e travagliata della pellicola. In città, poi, spinto dalla passione per il gioco d'azzardo conosce dei "vitelloni", interpretati da Giancarlo Giannini, Renato Salvatori e Adalberto Maria Merli, uomini annoiati e corrotti dalla condizione urbana e sociale dell'epoca in cui sono ingabbiati. Lea Massari e Alida Valli completano il folto cast di grandi nomi. Zurlini compone nella prima parte del film un vero e proprio sonetto in immagini dedicato a Sonia Petrovna (Vanina), meteora suadente di incredibile bellezza, tra le più fulminanti del cinema italiano, alle prese con un personaggio sfaccettato e dal passato torbido.

Zurlini, come Pietrangeli, ha sempre avuto un certo riguardo per la caratterizzazione psicologica dei personaggi femminili, reali e vivi, che squarciano la moralità pedissequa di una società maschilista e trovano nelle proprie contraddizioni e nei propri (melo)drammi l'affermazione di una femminilità sempre in bilico tra purezza e turpitudine. Gli amori impossibili messi in scena da Zurlini presentano sempre personaggi che vivono una profonda crisi, solitamente legata al passaggio verso una fase successiva della propria vita. Amori che fungono da catarsi emotiva e scuotono la psiche di chi li vive, l'irrazionalità prevale sulla morale imperante e vive di sé stessa fino al brusco risveglio dall'illusione. Ne "La Prima Notte di Quiete" la catarsi di Vanina ha una natura emotiva e intellettuale, si innamora del Professor Dominici mentre analizza per lei "La Madonna del Parto" di Piero della Francesca a Monterchi, l'innamoramento avviene davanti a un quadro, catalizzatore del risveglio dell'irrazionalità dinanzi a una realtà squallida e infelice. Quadri di soggetto religioso e mitologico tappezzano gli eleganti interni delle case frequentate dai personaggi creati da Zurlini, non solo a rappresentazione di uno sterile mecenatismo aristocratico, ma fitta tessitura dell'interiorità spirituale dell'autore, sempre tendente ad esporre senza imbarazzo la propria sentimentalità audace. Il mare agitato di Rimini spezza in più parti la narrazione conferendo respiro al dramma e, un po' come il mare metafisico di Solaris rappresentato da Tarkovskij, è espressione del tumulto emozionale che sconquassa la vita dei personaggi della pellicola. Le inquadrature del porto di Rimini accompagnate dalla lancinante tromba di Maynard Ferguson rallentano la narrazione e donano alla pellicola una temporalità atipica, sono esempio evidente dell'autorialità di un regista che non ha mai accettato compromessi pur di vedere la propria poetica prendere vita sullo schermo. Lo spazio e l'architettura si intrecciano nella narrazione e possono ricordare il cinema di Antonioni, ma la cifra stilistica di Zurlini è più intima e meno evidente. Alla fine delle riprese, Zurlini e Delon, entrambi insoddisfatti del lavoro reciproco si salutarono freddamente. A torto, dato che questo film rappresenta per entrambi un punto di arrivo artistico.

Tra il 1960 e la metà degli anni '70 l'Italia è stata una fucina di talenti, i soliti nomi continuano giustamente ad essere celebrati attraverso rassegne e retrospettive che mantengono viva la memoria del nostro fondamentale contributo alla storia della settima arte; altri invece, meno fortunati, sono stati quasi del tutto dimenticati. Valerio Zurlini ha dedicato la sua vita al cinema e, pur ricevendo più delusioni che consensi, ha realizzato un corpus cinematografico di una compattezza qualitativa e di un'onestà intellettuale disarmante, che merita di essere riscoperto ed analizzato. È il 1972, ci vorranno altri quattro anni per il suo ultimo film prima della morte sopravvenuta nel 1982, l'adattamento cinematografico de "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati.

Spider: "Perché la morte è la prima notte di quiete?"
Dominici: "Perché finalmente si dorme senza sogni"

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