Quando si parla di “progressive rock” anni '70, i primi nomi che balzano alla mente sono inevitabilmente: Genesis, King Crimson, Yes, ELP e Pink Floyd. Quasi sempre, infatti, tra questi non figura il nome dei Van Der Graaf Generator, a causa purtroppo, della loro scarsa popolarità. Nonostante tutto ciò, i VDGG furono autori di un album che ha occupato e occupa tuttora un posto di rilievo, non solo nell'ambito del "progressive rock", ma nell'intero panorama musicale.

La pietra miliare di cui stiamo parlando è PAWN HEARTS, opera pubblicata nel lontano 1971 e definita dalla critica come un vero e proprio capolavoro d’originalità e di sperimentazione musicale.
L'album è composto da tre lunghi brani o "suite", i quali si articolano tra loro mediante una graduale crescita d’intensità sonora ed emotiva, che raggiunge il suo culmine nella parte finale.
Al primo ascolto tutto appare meravigliosamente sorprendente e coinvolgente: le doti canore ed espressive di Peter Hammill, poeta visionario, nonché leader carismatico e fondatore della band; i sassofoni pirotecnici di Dave Jackson, onnipresenti in tutto l’album; l’organo gotico di Hugh Banton, una vera e propria colonna portante; i ritmi travolgenti della batteria di Guy Evans ed infine la chitarra elettrica di Robert Fripp (King Crimson), che figura come ospite d’eccezione.

Il primo brano, LEMMINGS, viene introdotto da un delicato arpeggio di chitarra e da una parte cantata, che lascia di stucco per la sua particolare melodia. Il tutto si risolve in un magnifico “riff” tessuto magistralmente dal sax di Jackson e dall’organo di Banton; un “riff”in cui Hammill è totalmente libero di sfoggiare le sue sorprendenti tecniche vocali ed espressive, dimostrando di essere sempre all’altezza della situazione. Il brano si estende, nella sua totalità, per circa undici minuti, ed è costituito da un tappeto sonoro, ricco di virtuosismi (vocali e strumentali) e di vari assoli (sax, organo e piano), sino a concludersi con una lieve e delicata parentesi psichedelica.
Il secondo brano, MAN-ERG (circa 10 minuti) è ancor più travolgente del primo. Si passa dalla romantica apertura dettata dal piano e dalla voce suadente del solito Peter Hammill, sino a giungere ad un incredibile giro di sax, che procede in modo “schizofrenico” e “maniacale”. Tutto ciò crea nell’ascoltatore, come una sensazione di “martellamento ritmico”, evidenziato, in primo luogo, dal rapido susseguirsi delle note del sax, in secondo luogo, dai tempi ossessivi della batteria. Giunti a questo punto non si può far altro che venire a contatto con l’incredibile tecnica fiatistica di Dave Jackson (un vero e proprio “Van Gogh dei sassofoni”) e, ancora una volta, con l’impareggiabile talento di Hammill, che esplode in una parte vocale di notevole intensità drammatica.
L’ultimo brano dal lungo titolo, A PLAGUE OF LIGHTHOUSE KEEPERS, rappresenta il pezzo forte dell’album. Si tratta di una “suite” di ventitre minuti divisa in dieci parti, in modo da formare un grosso e variegato “collage” sonoro. All’interno di essa, troviamo tutti gli elementi caratteristici del “progressive rock”: psichedelia, improvvisazione, sperimentazioni elettroniche, influenze classiche e virtuosismi vari. Ciò che sorprende però, non è tanto la presenza di questi elementi, comuni a tutte le “suite” progressive, ma il modo unico ed originale in cui questi vengono proposti. E’ grazie a questo brano che si vengono a delineare, in modo chiaro, le caratteristiche proprie della musica dei VDGG: un “progressive rock”, quasi “dark”, costituito da testi drammatici (quasi tutti composti da Hammill) e da atmosfere strumentali di stampo gotico, in netta contrapposizione alle ambientazioni barocche, tipiche dei Genesis o degli Yes. Probabilmente sono queste le particolarità che rendono la musica di Peter Hammill e compagni, estremamente geniale ed originale.

In conclusione, è doveroso affermare che, qualsiasi appassionato di musica, a prescindere dai vari gusti, dovrebbe possedere gelosamente una copia di PAWN HEARTS nella propria collezione discografica, poiché questo album rappresenta, a pieno merito, l’avanguardia artistico-musicale sviluppatasi durante il corso degli anni Settanta.
Per quanto riguarda i Van Der Graaf Generator, bisogna soltanto dire che meritavano di sicuro un successo maggiore di quello che hanno riscosso.

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