Fino al 19 gennaio avevo considerato Capossela come un bravo adepto dell'immenso Waits. Bravo, talvolta bravissimo (come in canzoni a manovella e talvolta in S. Vito e Camera a sud), ma pur sempre un adepto, il frutto di un certo modo di suonare inventato da altri. Già in "Canzoni a manovella" suonavano dolci preludi di una crescità in carisma e personalità, ma rimanevano alcune canzoni, pur splendide, la cui matrice, la cui ispirazione era facilmente individuabile.

Ora, dopo un lustro di silenzio, ci cade tra gli avambracci "Ovunque Proteggi", disco ostico, discontinuo, grasso, rumoroso... tutto questo all'apparenza... tutto questo al primo ascolto, a dir poco spiazzante... ma ovunque proteggi è un'opera d'arte, e come le vere opere d'arte attende chi ne usufruisce, attende che l'ascoltatore si abitui, che riesca a dare un'ordine, un'interpretazione all'insieme, un'identità alle varie poetiche che si affacciano da questo calderone gotico. Si dice che l'arte è per pochi, solo per i cervelli più scintillanti: non è vero, l'arte è per pochi perché gli altri hanno fretta. "Ovunque Proteggi" è un disco che non è bello, ma lo diventa, diventa splendido, perfetto: una galleria sonora che contiene l'intero climax emotivo dell'animo umano. Un disco definitivo, che se vi entra ben bene nelle orecchie rischierà di monopolizzare il vostro lettore CD, perché per un po' altro non riuscirete ad ascoltare. Si dice che i momenti cardine della vita possano essere legati ad una canzone: sembra quasi che questo disco voglia essere la colonna sonora di un'intera esistenza. Perché, una volta riuscito a domare l'orecchio, l'inno alla gioia esprime davvero gioia, gioia allo stato puro, diventa il pezzo di banda più vitale che abbiate mai ascoltato; "Al Colosseo" diventa un testo realmente viscerale, violenta... e pure geniale, se si considera che è un caso più unico che raro di canzone che ha un percorso cronologico, in cui il tempo fluisce di frase in frase per terminare con lo storico arrivo dei barbari; "Nutless" si fa di una malinconia tangibile ed epica, un “C'era una volta in America” di quattro minuti; la leggerezza, la maestosità di "Nel Blu", la giocosità perfetta di "Medusa cha cha cha", l'urlo disperato, primordiale, dell'"S. S. dei naufragati", potente rimando a Coleridge e al potere sovrannaturale di una natura viva; la grazia della title track, che conferisce lo scopo, il senso di una vita, il senso di tutto quello che è successo. Mantenere la posizione, conservare il cuore, per il futuro, conservarlo anche quando si è nella merda fino al collo; i rimandi fanciulleschi e felliniani di Spessotto e la teologia ferina e biblica di "Non Trattare", in questa galleria di poetiche che in una vita intera prima o poi tutte si susseguono, che sottolineano la nostra fragilità, la nostra grazia, la redenzione, cantata con passione nella traccia finale.

Non abbiate fretta, non archiviate questo disco con un giudizio in stellette da esperti, che tanto esperti tutti lo siamo, ma aspettatelo, rimarrete esterrefatti, non crederete alle vostre orecchie constatando che dopo un millennio di musica si sia ancora riusciti a scrivere un'opera che, nell'anima, non assomiglia a niente. Un capolavoro.

P.S.: La recensione precedente di Lazzaroblu era molto valida e ben scritta. Il motivo che mi ha spinto ad aggiungere il mio testo è proprio il fattore di cui parlavo nella recensione: ovvero che Ovunque proteggi è un disco che cresce col tempo, e nelle due recensioni si possono constatare gli effetti sulla breve e sulla lunga distanza.

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