Un pacchetto di biscotti fatti in casa ed una bottiglia di spumante buttati nel sedile posteriore. La mia compagnia la notte di capodanno. Se la guardo da fuori, a distanza di anni, questa fotografia grigia e nebulosa è senza dubbio la scena più deprimente della mia vita. Il famoso fondo. Non è vero che una volta toccato si risale subito con un bel balzo felino manco ci fossero le molle: lo si calpesta invece per bene, ed a lungo, il fango e ci si imbratta maledettamente.

Una lama che entra, rompe ed incide la pelle. Il segno di quell’anno è paragonabile a quello di una profonda cicatrice. Mi ha forgiato il carattere con le sue cocenti delusioni in rapida successione. Tessere di domino inclinate che mi inseguono e mi fanno ombra. Una dopo l’altra. Tappo ed ostruisco volutamente le valvole di sfogo dietro ad un forzato e doloroso deglutire; alla quotidiana ricerca di una statuetta Oscar per fingere una cosa aliena: normalità. Tutto questo per non fare male a lei che è malata e non ha bisogno di soffrire anche per me. No in una situazione del genere non puoi permetterti di dirle che, pur avendo tutto, sei stronzamente e profondamente depresso. Ed allora la covi dentro l’apatia, l’accidia che ti consuma, la voglia insana ed irresistibile di puro isolamento. Per non fare nulla e buttare i giorni; strapparli con secco gesto come fogli di brutta copia. Parli così con due toni di voce più alti rispetto a quelli che ti uscirebbero normalmente. Stare male, per davvero, ma fingere ed ostentare serenità. Questo vuol dire voler bene per davvero a qualcuno.

STREAM OF CONSCIOUSNESS

In quegli anni il power mi piaceva molto e l’intrigante concept album "Stream Of Consciousness" dei Vision Divine nel periodo deprimente sopracitato ci stava ottimamente: un po’ come il formaggio con le pere. La voce di Luppi è abile nell’immedesimarsi nella storia descritta da liriche profonde; capaci di distaccarsi in maniera netta e palese dai numerosi testi dei colleghi del genere solitamente prodighi a produrre banalità fantasy al limite della vergogna ed indecenza. Qui, invece, si parla e si canta di una persona impazzita alla ricerca della verità ben rappresentata dalla copertina senza speranza che vede un angelo in camicia di forza dietro le sbarre di un manicomio. Temi ricorrenti risultano essere quindi incomprensione, voglia di isolamento e rabbia repressa. Mi sento affine e mi lascio affondare nel sedile per l’ascolto di questo lavoro formato da un grande continuum sonoro di 14 pezzi cuciti con una buona dose di sartoriale maestria.

A metà strada tra un sound energico (power) e forti pennellate prog, che vedono riprendere diversi temi melodici nel susseguirsi del lavoro, "Stream Of Consciousness" mi fa così compagnia tra fine ed inizio anno. Si comincia con un piacevole picchiare in doppia cassa; quello dell’opener "The Secret Of Life": riff e tastiere confluiscono in un coro arioso farcito da un succulento break elettronico capace di mantenere elevati impatto ed attenzione. La travolgente cavalcata dai ritmi assassini "La Vita Fugge", diventata famosa per l‘acuto finale di durata esagerata, piaciucchia ma al contempo stufa rapidamente. Le vette del lavoro a mio parere sono altre: "Colours Of My World" e "The Fallen Feather" capaci di muoversi con sinuose spire grazie ad appaganti attese riflessive e fulminee ripartenze. Atmosfere più ariose, pompose e pop, caratterizzano il mid tempo melodico "We Are, We Are Not" con il ritornello migliore del pacchetto che scivola come un rio primaverile.

Ed oramai anche mezzanotte è passata. Uno sguardo va al triste e mesto pacchetto dei biscotti, sempre accucciati nel sedile posteriore. Si sarebbero meritati una bella cena e un po’ di risate, magari un bel bagno in un bicchiere di dolce vino su una tavola colorata e festosa. Sono tentato di aprire la confezione casalinga e di porre fine alle loro sofferenze. Ci penso su se azzannarli o meno, ma poi li lascio in terra appena fuori dalla portiera assieme alla bottiglia per qualcuno che verrà. Non c’è proprio nulla da festeggiare per me e la fame mi pare lontanissima, ben oltre l’orizzonte. Con fare lento, in pura simbiosi con l’arpeggio delicato ed il pizzicare dei tasti della commovente "Fool‘s Garden", rientro e accendo il riscaldamento. Nel piacevole tepore quasi mi addormento, cullato nel meraviglioso intermezzo che lancia il finale del disco. Tappeto rosso alla ballad "Identities"; quei 300 secondi abbondanti che ogni volta sono capaci di farmi alzare i peli delle braccia. Piano e voce gli elementi che giganteggiano prima dell’entrata della chitarra che, con un solo assolo in scala, lento e cadenzato, accordo dopo accordo entra e scava nelle orecchie. Mette inequivocabilmente in mostra la mia fragile situazione: da solo in macchina nella sera in cui tutti festeggiano assieme. Le sento scendere naturali, senza forzature. Calde e saline solcano e rigano e così sento la masochistica necessità di riascoltare il brano ancora ed ancora.

Ilfreddo

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