"Vi sono perdite che comunicano all'anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi"
Capita nel Metal estremo di sentire dischi il cui valore estetico, così alto e profondo, porti l'ascoltatore ad ammirare affascinato cotanta bellezza che traspare dalle note, pur essendo il contenuto prossimo a temi come il dolore, il desiderio di morte, la decadenza. È quello che si prova ad esempio tra i solchi del terzo ed ultimo (per ora almeno) lavoro dei nostrani Void Of Silence, band che ha saputo in poco più di tre anni riscrivere un genere altrimenti poco intellettualizzabile come il Metal Estremo.
'Human Anthitesis' è il terzo capitolo della trilogia, quello più lirico, più toccante, probabilmente il più crudo. Dopo l'angoscia degli attimi precedenti lo scoppio della guerra (Toward The Dusk) e del drammatico conflitto (Criteria Ov 666), ci troviamo ora innanzi ad un paesaggio sconvolto dalle devastazioni della guerra, che arranca e si trascina.
Se il primo capitolo può far tornare alla mente l'universo narrativo di Kafka, con quel particolare gusto per il simbolo e per l'eterna attesa, ed il secondo il talento visionario di Coppola in "Apocalypse Now", plumbea rappresentazione di un conflitto prima interiore che militare, le coordinate dell'ultimo sono semplici e lineari: una versione estrema e decadente del cinema Neorealista italiano, ancorata ad un talento unico nel riproporre quadri di desolazione umana e morale.
La Title-track, imponente suite di oltre venti minuti, affronta da più angolazioni il tema del Ricordo; i testi dell'album nascono dall'incontro tra la Memoria Collettiva (i due musicisti ostiensi, che han cercato tra i sopravvissuti alla guerra racconti e testimonianze) e l'Ispirazione Individuale (quella del nuovo singer Alan Nemtheanga). Le liriche del cantante irlandese sono meno aperte a contaminazioni "metal" (Satanismo ed un certo immaginario legato al black) e si configurano come aspre e crude reminiscenze dal sapore poetico. Si susseguono così il dolore del singolo e quella della collettività; se i primi due episodi erano più legati alla dimensione individuale, quest'ultimo è frutto dell'unione tra l'io narrante e la gente intorno a lui.
Il clima è pregno di Disperazione, nel senso originario del termine: non rimane nulla all'uomo all'infuori del suo dolore, che è eterno e immutabile; si può pregare Dio, Allah, o chiunque altro (come recita il testo), ma nessuna ascolterà le parole, lasciando nella vergogna chi ha osato rivolgersi al cielo. Fanno da coronamento le immagini dell'artwork (tratte da foto dell'epoca), in cui impassibili angeli di pietra, dall'alto di chiesa e basiliche, guardano uomini e donne che hanno perso tutto e stan ricostruendo quel poco che rimane.
Musicalmente parlando il disco si muove su coordinate diverse da quelle degli album precedenti, abbandonando la pesantezza di 'Criteria Ov 666', in favore di un doom "più arioso", dalla produzione levigata e scintillante, che rende l'ascolto più facile e digeribile. Questa l'unica concessione. Per il resto questo disco rimane difficile e complesso, legato a composizioni molto lunghe (il tutto dura un'oretta) e articolate.
Il disco è permeato di elementi riconducibili al forte senso di italianità che caratterizza l'opera (non sto parlando d nazionalismo, anzi, e neanche di appartenenza allo stato e simili) e che stacca i Void Of Silence da chi è costretto a guardare all'estero per trarre ispirazione: numerosi i campionamenti bellici, tra cui uno molto interessante posto all'inizio dell'album, in cui una voce alla radio ripete messaggi i codice alla Resistenza. Anche in questo caso nessun intento politico, semplicemente la voglia di ricordare chi ha contribuito a porre fine alla follia umana… intento che ritorna anche in "Untitled", brano interamente vocale che riporta in vita un vecchio canto alpino, con un crescendo di pathos davvero commovente. Molti altri sarebbero gli spunti degni di nota, tra cui il testo di "CXVII", tratto dal Rinnegamento di San Pietro di Baudelaire e la presenza di Atratus dei Tronus Abyss come ospite.
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Altre recensioni
Di Trashing_days
Il risultato finale suona quasi come un'unica oprimente, disperata ed agghiacciante colonna sonora per il funerale del genere umano.
Una proposta oscura ed elitaria, per un album 'difficile', che richiede più di un ascolto per essere completamente assimilato, ma spaventosamente affascinante.