"Guglielmino Bagnato" è il bislacco nome trovato da un quintetto (+ due coriste) dell'Alabama, molto attivo discograficamente per buona parte degli anni settanta e dedito a un rock sudista decisamente direzionato verso la musica soul e funky. Niente stratificazioni e assoli interminabili di chitarre quindi, niente voce strascicata, al loro posto un rock decisamente frizzante (quasi quanto la copertina!) e sicuramente e positivamente danzereccio, per chi ha piacere. Insomma, southern soul ben accessibile, impostato non verso assoli e jam bensì su canzoni e voci, ma per certo non liquidabile come semplice pop music.
Sono molto bravi, a cominciare dal cantante nonché sassofonista ed armonicista Jimmy Hall, una bella bestia rhythm&blues dall'emissione vocale brillante e mobile, energica e allegra. Il suo chitarrista Ricky Hirsch non perde tempo in assoli e va subito al sodo, componendo la maggior parte del repertorio ed in genere plettrando di buona lena un funky grasso e contagioso. Della stessa famiglia Hall sono pure il bassista Jack e la corista Donna; la formazione è infine completata da batterista e tastierista, quest'ultimo anche seconda voce solista, sfruttata in genere per gli episodi più tranquilli del repertorio.
Questo è il quinto album in carriera, datato 1976 e articolato in otto episodi diversificati in tre funkettoni, due ballate e tre numeri più propriamente southern, grosso modo vicini alle atmosfere degli Allman Brothers e della Marshall Tucker Band.
Dei tre pezzi più funky, il primo "No no no" (niente a che vedere con l'omonimo dei Deep Purple) è un rock'n'roll con continui stop e ripartenze, che fa esordire sparato l'album creando all'istante un bell'ambiente gaio e scuoti chiappe. La rabbiosa "Baby Fat" messa più in là è piena di sassofoni e trombe, pare proprio di ascoltare James Brown. "Everything That You Do" infine si articola intorno a un bel giro di basso, più esoterica e rilassata, un po' meno negroide.
Le due ballate sono cantate dal pianista della formazione Michael Duke, col suo timbro assai più rotondo e sornione rispetto al dinamicissimo stile soul del frontman. Entrambe assai consistenti melodicamente, centrano l'obiettivo di spezzare una scaletta altrimenti tirata e agitata allo spasimo. Più lirica la prima "Ring You Up", con un breve ma intenso solo di sax; più pop e ruffiana la seconda "Everybody's Stoned", messa a congedo del lavoro.
La porzione più centratamente southern rock del disco vede come già detto l'avvicinamento dei nostri ad altre, contemporanee realtà di rock blues sudista, senza però l'altrui tendenza all'esagerazione strumentale e senza mai allontanarsi del tutto dalla forte anima rhythm&blues alla base del progetto, una sensazione sempre assicurata dalla voce negroide di Hall e dal ruolo importante dei fiati e delle coriste gospel al seguito.
Per apprezzare a fondo questo lavoro è necessario essere estimatori del punto di vista della gente di colore verso le sette note... però anche gli appassionati di rock più idiosincratici verso la musica "nera" non possono esimersi dal percepire e apprezzare la carica, la convinzione, la simpatia, l'energia, il piglio sanguigno con cui i Wet Willie concepiscono ed eseguono le loro cose.
Questa è musica nera suonata da bianchi... magari rischia di non accontentare nessuno dei due mondi, ma personalmente queste realtà di confine (vengono in mente Hall&Oates, Lenny Kravitz, Creedence Clearwater Revival, tanti altri) mi hanno sempre intrigato.
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