I White Hills potrebbero metaforicamente essere figli dei fiori, ma di fiori neri che si stagliano su un cielo viola e malsano, proponendo tra i tanti un'amalgama di Stooges, Electric Wizard, Hawkwind e Cream: la loro è musica che pulsa di psichedelia-garage, space rock, stoner e krautrock dai tratti gotici ed esoterici.

Voci deformate, distorsioni monolitiche da onda d'urto ed insistenti jam nell'infinito sono tra i possibili biglietti di ingresso per l'ascolto. Heads on Fire è un insieme di canzoni in cui non mancano di certo cumuli di riffoni che affogano nelle fiamme e che strisciano nella ruggine tra suoni abrasivi: di sicuro gli ondeggianti momenti di distensione eterea e digressioni cosmiche in cui questo macigno evolve rappresentano il guisto svincolo per evitare il limite della sopportazione spesso presente in composizioni così massive.

Don't Be Afraid: ventisei minuti di pulsazioni indotte da un crescendo a fuoco basso, un'apparente oasi in questa ipnotica escursione. La mole di questa montagna sonora sposta di certo il centro di massa del disco verso di se', fidarsi del titolo.

Un album di musica estrema, un viaggio spesso inquietante di psichedelia ruvida ed ossessiva che purtroppo sfocia spesso in enigmatiche corse verso nel nulla, ma non può che meritare rispetto per l'impatto. E' di certo un ascolto ostico per chi non avezzo a certe sonorità, ma che trovo a suo modo interessante nel proporre veri e propri trip musicali.

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