I White Lies nel tentativo di non crollare, riescono a restare in piedi a testa alta, dopo le scorribande nel mondo pop dell'ultimo disco "Five", la band londinese pubblica "As I Try Not To Fall Apart", il suo disco più completo e qualitativamente più alto dai tempi degli esordi di "To Lose My Life...". Da quel debutto è trascorso oltre un decennio, in cui la band di Harry McVeigh è parsa accontentarsi di piazzare hit radiofoniche sempre più orientate verso il grande pubblico. "As I Try Not To Fall Apart" rappresenta in buona sostanza sia un'inversione di tendenza che la sintesi musicale della loro carriera.
La traccia d'apertura "Am I Really Going to Die", come da ormai consueto ironico pessimismo, è il brano in cui la band prosegue nella volontà di esorcizzare, quasi giocare, su temi delicati come il rapporto vita/morte, in un contesto di disagio verso l'adattamento alla vita reale e al rifiuto verso soluzioni estreme. L' inadeguatezza con la quale convive col mondo attuale è confermata nella vincente cavalcata di "I Don't Want To Go To Mars" (con tanto di burla promozionale via social indirizzata agli account di Elon Musk). Il singolo in chiave post punk, è il brano che i White Lies non componevano ormai da troppo tempo nonché tra i più riusciti dell'album, in grado di conferirgli una direzione sonora più classica e meno influenzata dal mondo dell'elettronica che tanto affascina il trio londinese.
"Breathe" e la title track si distinguono per un alto profilo creativo, conferendo ad una prima parte di album un livello all'altezza delle aspettative della stampa inglese e nostrana, che non sono disattese nemmeno nella seconda parte del disco, dove spiccano brani come "Roll To December", contraddistinta da un'improvvisa accelerata proprio quando l'opera pare convergere verso atmosfere più serene, e l'ispirata "Blue Drift".
Tra New Order e Joy Division, senza mai dimenticare l'influenza metropolitana del concittadino d'eccellenza David Bowie, i White Lies ostentano una dimensione definita e determinata, aspetto che negli ultimi dischi è venuto parzialmente meno, e che in questo tentativo di non crollare a terra, potrebbe consentire loro finalmente di spiccare il volo.
Una piccola nota di demerito va destinata all'aspetto marketing, rispetto al booklet eccessivamente essenziale che accompagna il formato fisico in CD-rom; un aspetto non più da sottovalutare se si vuole proseguire nella riconquista della fidelizzazione del pubblico più appassionato.


  • JURIX
    25 mar 22
    Recensione: Opera:
    Io veramente 'stiqua non li conoscevo, ma mio figlio voleva "Non andare su Marzo", sicchè ho auZcultato tutto il disco... mah... robetta un po' trita e ritrita con un bel singolo (quello del MARS di cui sopra).
    • Gallagher87
      26 mar 22
      Non so che dirti @[JURIX], sicuramente in quel segmento musicale oggi è difficile, quasi impossibile risultare originali, quindi c'è sicuramente una derivazione. Se poi ti riferisci a dei plagi non saprei. A me nel complesso loro mi sanno di "giovani che suonano da vecchi."
    • Akir9
      27 lug 22
      Io neppure il singolo salvo, questi sono da pattume direttamente. Non si distingue una canzone, un suono che non sia stato confezionato come puro abbellimento estetico fine a sé stesso.
  • Akir9
    27 lug 22
    Recensione: Opera:
    Indifferenziata.
    Disco con produzione in pompa magna, vanaglorioso, vuoto, piatto.
    Il loro solito disco in cui oltre a suonare vecchi, spesso suonano persino come una copia dei coldplay o del peggior repertorio degli editors che già di loro ultimamente.
    Elettronica usata puramente come abbellimento kitsch per coprire lacune creative grandi come una villa di Briatore.
    Am I really going to die, ennesima conferma del vuoto cosmico al cubo con un ritornello imbarazzante.
    In un mondo di udenti avrebbero il tempo di sopravvivenza di un gatto in tangenziale.

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