Di “next big things” ne abbiamo contate a tonnellate, specialmente negli ultimi quindici anni, e in particolar modo proventienti da quella fucina inarrestabile che è il Regno Unito.

Poche, pochissime sono rimaste (tantoché ad un pensiero superficiale vengono in mente solo gli Arctic Monkeys), mentre tante si sono perse nel tempo per ricomparire ogni tanto, pubblicare mestemente un disco calcolato solo da una piccola fanbase fedele e poi sparire di nuovo. Vedremo se questa sorte toccherà anche ai Wolf Alice della bella Ellie Roswell, ma a giudicare da questo secondo disco stavolta potrebbe essere la volta buona.

Ma chi sono, esattamente, i Wolf Alice? Diciamo subito che le carte in regola sembrano esserci: un esordio ottimo e chiacchierato quanto basta, con tanto di pezzo inserito nella colonna sonora di “Trainspotting 2”. Una frontwoman bella e dotata come la Roswell, che flirta indistintamente col mondo indie e con quello mainstream apparentemente senza grossi scossoni. Sì, ma la musica?

C’è anche quella, ed in questo secondo album (battezzato “Visions Of A Life e prodotto da Justin Meldal-Johnsen, recente responsabile della svolta indie pop dei Paramore con “After Laughter” e già alle manopole per M83 e The Raveonettes) convince pure, esattamente come nel primo. Un’opener spudoratamente showgaze di stampo slowdiviano (“Heavenward”) ci introduce ad un disco che colpisce cerchi e botti senza perdere (quasi) un colpo. C’è quella magia che lega in un progetto omogeneo stili diversi, prerogativa di poche band, e c’è una Roswell che saltella tra sfuriate noise garage come “Yuk Foo” (coraggiosamente estratta come singolo di lancio, ed il coraggio spesso premia), numeri indie pop da femme fatale con ambizioni da novella Morissette come “Beautifully Unconventional” (deliziosa, uno dei singoli pop dell’anno) e meraviglie alt rock tout court del livello di “Don’t Delete The Kisses”.

Nei pezzi più tirati il tempo sembra si sia fermato al 1995 del mai dimenticato “Mellon Collie” ed è lì che la band cicca qualcosa in personalità (“Formidable Cool”, “Planet Hunter”) per poi recuperare con variazioni interessanti come “Sky Musings” o la bellissima (vagamente orientaleggiante) “Sadboy”, per non parlare dell’ottima chiusura con la bella titletrack.

I Wolf Alice si confermano, perlomeno a livello artistico. Vedremo se basterà per durare nel tempo.

Miglior brano: “Sadboy”

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