Prima di Tarantino, Scorsese e tutti gli altri. Prima di capire cos'è il cinema, certi cartoni hanno costruito il mio (nostro) immaginario da zero o quasi. Ognuno ha i suoi. Per me rivedere La spada nella roccia (meraviglie dello zapping) è un poema d'infanzia che rivive in ogni parola, ogni melodia, ogni animazione indimenticabile.
Rivederlo venti, venticinque anni dopo illumina tante qualità di un film che oggi appare quasi intellettuale, anzi, senza quasi. Un film filosofico, che racconta il mondo, dalla gravità all'amore, dal volo degli uccelli a quello degli scoiattoli, da un ramo all'altro. La logica, i contrari, il bene e il male, un film che irride le regole cavalleresche e le credenze del medioevo in una costante tensione futuristica, conoscitiva ed etica.
Cos'è buono e cosa no? Meglio le armi o i libri? Merlino è un ciarlatano o un maestro? Anacleto ne è un po' la controparte amorale, un maestro che sa ma non sa insegnare, che sbuffa e vorrebbe affidare a pile polverose di libri la chiave per la conoscenza. Merlino, a tratti ugualmente permaloso, è precettore illuminato che insegna attraverso la vita, con un grande tuffo nel tumulto dell'esistenza. Ma così la conoscenza è anche pericolo, vita messa a repentaglio. C'è qui il senso dell'essere scienziato che sperimenta, laddove Anacleto è erudito che si affida al principio di autorità. All'ipse dixit.
La parte dedicata alla maga Magò dà brividi incredibili, brividi horror che sono ricordi horror di un bambino davanti alla televisione, mentre scopre le proprie emozioni e paure, accarezza la vertigine della ripugnanza. Fino all'iperbolica sfida di trasformazioni, che diventa una sfida di intelligenza: l'intelletto contro la forza, la furbizia contro la violenza. È una sfida di dis-onestà: “Ho detto forse niente draghi viola?”.
Il racconto degli insegnamenti non è il solo insegnamento. Il film è istruttivo fin dal linguaggio, è intelligente in sé, nelle sue movenze (Semola impara le parole, e noi con lui), nella sua ironia e nei suoi ribaltamenti prospettici. Il più stimolante è quello temporale: Merlino compie l'errore (perché l'eccessiva conoscenza può essere anacronistica) di valutare il passato dal futuro, il medioevo coi parametri del ventesimo secolo. E se da una parte questo rende tutto detestabile ai suoi occhi, dall'altra è l'unica chiave per cercare di scardinarlo, quel mondo oscurantista.
E nel ribaltamento finale, definitivo, Merlino torna da Honolulu per sedersi al fianco di re Artù. Riconoscendo da una parte che il mondo moderno non è tanto migliore (“un guazzabuglio”), e dall'altra individuando nel piccolo discepolo Semola-Artù (che sposa i suoi valori intellettuali ma anche l'onore delle armi) il perfetto sovrano illuminato.
Il paradosso è in minima parte anche narrativo. Quando Merlino spiega ad Artù che diventerà un eroe e faranno anche un film su di lui, Semola chiede: “Che cos'è un film?”. E il mago risponde: “Una specie di televisione, ma senza la pubblicità”. Battute finali che sanzionano l'incomunicabilità tra epoche, pur nel costante tentativo dell'uomo di evolvere il suo pensiero. Ma certe distanze sono troppo grandi.
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