In quel periodo, inizio adolescenza, sarei dovuto diventare cieco in un amen: avevo gli ormoni a mille e la traduzione dall’inglese di Mighty Aphrodite in La Dea dell’Amore mi pareva non solo perfetto, ma l‘unico possibile. Perché Mira Sorvino, nel bel mezzo dei ’90, era qualcosa di divino per una delle donne più sessose, qualunque cosa voglia dire mi pare che il termine renda sufficientemente l‘idea, che i miei occhi avessero mai visto. Altro che Pamela Anderson! A distanza di secoli per caso ho rivisto questo film e così mi sono fermato a guardare e riguardare, con estrema dovizia e professionalità, le curve della protagonista e la commedia per intero! L’impressione è stata talmente superiore alle attese che in 5 minuti ho già finito il primo paragrafo di un file word.

Non mi ricordavo che i dialoghi fossero così sboccati e volgari, ma le parolacce sono dette con una leggerezza tale che ci stanno benissimo. Mentre proseguo nella visione penso che questa commedia sia uscita ad Allen proprio bella rotonda: mi piace immaginare che il risultato finale sia molto simile all‘idea embrionale che gli balzò in testa quando una notte, forse insonne, cominciò a tessere le fila della sceneggiatura nella sua mente assai contorta. Fosse un tiro a canestro, La Dea dell’amore sarebbe un fade-away che schiaffeggerebbe appena la retina senza disturbare il sonno letargico del ferro circolare. Gode infatti di un cast decisamente centrato e del giusto minutaggio eliminando totalmente il superfluo. Ha ritmo, con un equilibrato crescendo fino al dirompente incontro tra i due protagonisti, ed il finale è incisivo e sintetico. E’ una comicità per lunghi tratti casereccia, diversa dal solito Allen, ma vincente essendo capace di sfruttare in pieno la contrapposizione speziata tra la splendida porno diva “Jude Orgasm”, alias Linda Ash, ed il giornalista sportivo Lenny. La ciliegina sulla torta è rappresentata dalle figure del teatro greco, nei panni di originale voce narrante, capaci di farci piegare dal ridere negli intermezzi corali.

Una coppia (Allen/Bonham Carver) decide di adottare un figlio e questi risulta essere talmente amorevole, sveglio e carino che il padre non può fare a meno di cercare di rintracciare colei che ha dato alla luce questi geni di straordinaria fattura. Solamente guardandolo (il pargolo) immagina che la madre naturale sia una persona perfetta, caduta accidentalmente in qualche problema più grande di lei causa la giovane età. Il senso del film è che spesso è meglio non cercare un senso, una risposta razionale ai propri quesiti perché la realtà può spesso superare la nostra immaginazione. La vita è un iceberg: ritenere che la verità sia solo quella visibile è stupido, ma forse è la cosa migliore da fare perché, se analizzate in profondità, le nostre esistenze in fin dei conti non sono altro che un intruglio sconclusionato, assurdo ed unico, di azioni impulsive e ripensamenti. Ciò che rende La Dea dell’Amoreuna commedia vincente è la sua immediatezza che la rende altamente fruibile anche per lo spettatore medio che cerca qualche battuta divertente senza voler elucubrare troppo sul messaggio “filosofico” che lancia.

Dopo una prova così mi chiedo come mai Mira Sorvino non sia riuscita ad avere una carriera pregna di successi. A parte la sua performance superba (statuetta) è il film nella sua interezza che risulta essere particolarmente centrato e ben riuscito: complessivamente ilare e scoppiettante seppur dotato di qualche intermezzo drammatico, quasi commovente.

Se non sopportate il classico Woody Allen e non conoscete quest’opera ve la consiglio. Ondeggio indeciso tra il 3 ed il 4. Poi ripenso a questa scena e mi scopro d'un tratto generoso.

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