Estate, vento caldo che porta via, cinema all'aperto.
Veronica all'ultimo momento propone di andare a vedere Match Point. Veronica d'estate è una scultura del Rodin postmoderna, con gambe lunghe more e che accavallandosi seminano vertigini. Sinossi: Veronica è anche la migliore amica di mia moglie, al mare con i marmocchi; ogni velleità potenziale con Lei non solo è un pensiero sepolto, ma più che altro sradicato da ogni realtà. Anche se in mini, indubbiamente, resta sempre un Belvedere.
E va bene così, noi cerchiamo il bello, non il punto.
Nel profondo so che questo film mi lascerà indifferente, tutti i film di Allen mi hanno sempre lasciato indifferente. Del resto dalle nostre parti in tutti i Midsummer Night's Dream, ai sontuosi festeggiamenti di nozze ad Atene si preferisce e si è sempre poi attratti dalle gesta di Ernia e Lisandro, dalle fughe degli amanti nel bosco e le dispute di quel mondo fatato.
Match Point di Woody Allen è un thriller psicologico ambientato nella Londra dell’alta borghesia, dove il destino e il caso si intrecciano in una danza glaciale e spietata. Il film sembrerebbe incentrato sulla figura di Chris Wilton, ex tennista irlandese, si reinventa come istruttore in un club esclusivo. L’incontro con Tom Hewett lo introduce a un mondo di privilegi e opportunità. Chris sposa Chloe, sorella di Tom, e si inserisce perfettamente nel tessuto dorato della famiglia. Ma l’arrivo di Nola Rice/Scarlett Johansson, aspirante attrice americana e fidanzata di Tom, accende una passione proibita. La relazione tra Chris e Nola si consuma tra desiderio e menzogne, fino a un punto di rottura in cui la moralità cede il passo al calcolo. Il film si snoda come una partita di tennis: ogni colpo è una scelta, ogni rimbalzo una conseguenza. E come la pallina che rimbalza sul nastro, il destino può cadere da una parte o dall’altra. Allen costruisce un thriller elegante, glaciale, dove il caso diventa il vero protagonista. La tensione cresce in modo sottile, quasi hitchcockiano, fino a un finale che lascia lo spettatore con un senso di inquietudine e amoralità.
Oltre alla gentile presenza un motivo che mi ha spinto ad accettare l'invito è la sensazione che questo film di Allen, a differenza di altri, avrebbe potuto destarmi interesse, in realtà faccio fatica ancora una volta a destreggiarmi in Allenlandia e come spesso mi capita, cerco vie di fuga ed evasione per non annoiarmi troppo. In questa parentesi tra tennis e destino, tra stile e trama, Match Point potrebbe essere interpretato non come solo un film ma una metafora perfetta del gioco, della vita, e del rischio.
Il rischio.
Nel tennis classico, quello dei grandi di un tempo—Rod Laver, Björn Borg, John McEnroe—lo stile era tutto. C’era eleganza nel gesto, strategia nel colpo, e una tensione quasi teatrale in ogni scambio. Il rovescio di Borg era meditazione, il serve-and-volley di McEnroe era improvvisazione pura, ogni punto costruito, non solo giocato; il tennis non era solo sport da acclamare dagli spalti: era racconto.
Ed era macho, rissoso, imprevedibile, i match tra Connors e Mc Enroe sono Storia.
In Match Point, Allen prende proprio questa idea: il colpo che decide tutto, il punto che può cadere da una parte o dall’altra, quella famosa pallina che rimbalza sul nastro e resta sospesa per un istante eterno—quello è il cuore del film. Come nel tennis d’altri tempi, dove il talento si misurava nella capacità di leggere l’avversario, anche Chris Wilton legge il mondo intorno a sé, lo manipola, lo gioca. Ma lo fa senza stile, senza etica. È un tennista moderno, freddo, calcolatore.
Non cerca il bello: cerca il punto.
Allen sembra dirci che il mondo ha perso il suo rovescio elegante, il suo serve-and-volley romanzato. Ora si gioca solo per vincere, anche prima a dire il vero, ma la bellezza del gesto non conta più, il film diventa così un match tra morale e opportunismo, tra destino e scelta, e come nel tennis basta un colpo sbagliato per perdere tutto.
E nel mentre del calcolo algebrico di Chris Wilton, appare lei. Scarlett.
E tutto si dissolve.
Il film svanisce, la trama si frantuma ; tutto svanisce, anche la propensione a recensire, tutto sfuma di fronte a quell'invitante altare di carne e desiderio, nella visione di quelle sue labbra, rosse e carnose. Come l’alba su Sodoma, chiamano al supplizio dolce dell’attesa, e ogni parola che pronuncia è una lama che incide il cuore con grazia sospesa; nel sorriso di Scarlett Eluard ha scritto senza indugio il vento, e Dante, smarrito e frastornato dalla lussuria, ha perso la sua Beatrice, Guido colui che cavalca tremando ma riflessivo di par suo ha chiesto solo un momento, un attimo di pausa, per adorare quel volto che si dice. La tensione sale, l'intellighenzia ebraica di Brooklyn, tutto quel bagagliaio culturale fatto di nevrosi, ironia intellettuale e autoanalisi, va finalmente a farsi benedire.
Caso, coincidenza o sequenza infernale, Veronica incrocia le gambe e la vertigine sale all'inverosimile; quella X sbilenca, antica geometria del peccato dove il mondo si curva e si arrende, il confine tra il giusto e il dannato, tra il pudore che crolla e ciò che si preda, quelle cosce colonne di tempesta e miele che reggono il cielo della danza, il luogo dove il tempo si fa infedele e la carne si traveste con abiti carnevaleschi; le labbra di Scarlett, quelle labbra che non si spiegano sono il punto dove i versi si piegano e i poeti si perdono, si dissanguano, si fremono, l’arte che non si incornicia, opera d'arte che si ama con la lingua, la carne che si fa liturgia, la bellezza che non si distingue.
E se il mondo dovesse finire domani, che sia tra le tue curve, tra i tuoi sospiri, che sia nel tuo ventre, tra i tuoi piani, che sia nel tuo sguardo, tra i nostri deliri.
Game, Set and Match.
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Altre recensioni
Di uxo
Un Allen sceneggiatore e regista insolitamente freddo e controllato, che descrive la materia umana ed il suo lerciume, senza un filo di ironia.
La vita è come una partita: un colpo corretto ed il trionfo sarà nelle tue mani.
Di Stanlio
Il film è un noir con relativa tresca d’amore che porterà uno dei protagonisti a commettere un duplice delitto (anzi triplice e chi lo vedrà capirà perché…).
‘La vita è ingiusta’ come dice laconicamente l’ispettore di polizia al collega, riferendosi a questo sporco ‘match point’…