Pur essendo fortunatamente (?) giunto in loco con una cospicua ora di traghettistico ritardo, constatai, con un certo qual egoistico giubilo, non solamente che la performance in previsione sulla sommità del non proprio irto colle, non era minimamente iniziata (altresì alcun live-act propiziatoreo fungeva da apripista) ma che della prevalentemente ottonistica e attesissima congrega non sussisteva alcuna (lieta) novella; folto pubblico tendenzialmente infastidito se non decisamente teso al nervoso-andante: non la più gradevole (per gli attendenti) delle situazioni; qualche fugace et circostanziata sfascia-stupidaggine ambientatorea ha reso meno ostili (perlomeno) i viciniori.

I sette amabili ragazzuoli (si farebbe per dire) giungono infine con felpato passo et aria vaga, quasi giungessero da quelle archeologiche parti per pura casualità (annotiamo qualche fischio da parte dei più riottosi): nella ancestrale, ampiamente nota, stomachevole sfascia-ignoranza, il primo elemento che concretamente saltò agli occhi al nebulos-narrante fù il constatare che il Saxophonico Quartetto on stage si manifesta tutt’altro che nella denominatorea accezion numerica, bensì con allargata formazione composita da ben sette (e formidabili) elementi.

Neanche il tempo di imbracciar gli inanimati instrumenti (non un cenno/parola, rivolta al pubblico) che l’apparentemente panza-empita, se non Cannonau-stordita combriccola, scaraventa sulla attonita platea una tale mole di travolgenti e inusitati istrionici strombazzamenti e talentuosi, sibilanti e sibillini saxophonismi (in teoria “Hey Joe”), uniti all’ultra tellurico substrato percussivo posizionato ad arte dalla agile quanto presentissima sezione pluri-ritmica, che il pubblico dapprima ammutolisce et a fine brano-esecuzione scoppia in generosi e fragorosi quanto appropriati plausi: dello snervante ritardo, non vi è più neppur alcun remoto rammento.

La attuale incarnazione/mutazione* del “W.S.Q.”, sigla oramai attiva da un buon trentinaio d’anni, è in questa performance-contesto completamente incentrata su (teoriche)riletture di talune storiche e maledettamente sorprendenti jazz-friendly gemme del repertorio Hendryxiano: in effetti trattasi di sentita quanto stellare omaggiante ma assolutamente free-forme scorribanda pentagrammatica: le arcinote “Foxy Lady”, "Little Wing”, subiscono letteralmente (rispettosamente) una sorta di musiqal-Presa della Bastille: sconquassate, infarcite, ampliate, strapazzate: una “libera” performazione fatta di stellari solos a josa, strumental peripezie d’insieme a sazietà e surtout scevra da vincoli di alcuna sorta ovvero con gli assoluti controfiocchi se non di insperata perfezione.

Se qualche lustro or sono m’avessero prospettato che un giorno (da grande.. ih ih) mi sarei in siffatta maniera esaltato per una performance di (non tutti)attempati, finissimi, bizzarri jezzatori da strapazzo alle prese con la n-esima manciata di scartavetrate Jimi-songs, presumo avrei estrapolato un cordiale, ma fermo, De-Curtisiano: “Ma mi-faccia-il-piacere, mi faccia”. Vice/versa il piacere, today, è stato really tutto, ma proprio todo, esclusivamente ed inaspettatamente (anche) mio. Acciderba.

 

* prevede la nota presenza delle primigenie figure degli ispiratissimi (anche al canto) David Murray (Tenor sax, bass clarinet) e Hamiet Bluiett (sax baritono), Oliver Lake (sax alto), accompagnati da Bruce Williams (curved soprano & alto saxophone), un’istrionico e sinceramente imperioso Jamaaladeen Tacuma (electric bass), l’elegantissimo/biancovestito quanto coinvolgente Craig Harris (Trombone) ed infine l’efficacissimo Lee Pearson (drums)

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