“La prima volta che ho capito che la musica poteva cambiare la vita, smuovere l’anima e avere un potere cosmico, avevo dodici anni. Avevo appena ascoltato la versione lunga di Light My Fire con l’autoradio.”
(Exene Cervenka, X)
Era il 1980.
E se quella sera Ray Manzarek e sua moglie Dorothy non fossero stati presenti al Whisky A Go Go?
E se Dorothy, a un certo punto, non gli avesse urlato se riconoscesse la canzone interpretata dal gruppo sul palco?
E se lui non avesse risposto che non conosceva né il gruppo né tanto meno le loro canzoni?
E se lei, allora, non fosse scoppiata a ridere fragorosamente, urlandogli che quegli scalmanati stavano suonando “Soul Kitchen” a mille chilomentri all’ora?
E, soprattutto, se i Doors non fossero mai esistiti?
Ecco, la storia non s’è mai fatta con i “se” ma ho la certezza che, se anche i Doors non fossero mai esistiti, Ray Manzarek il suo posto in prima fila in quella del rock lo avrebbe avuto riservato.
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“I gruppi pestavano, ruggivano, si lamentavano, cadevano, distruggevano e si drogavano troppo per essere in grado di suonare decentemente; però tutto succedeva proprio lì, davanti ai nostri occhi.” (Jonh Doe, X)
Era il 1984.
Avevi voglia a dire che “All’ultimo respiro” era un remake di “Fino all’ultimo respiro”, non lo era: Jim McBride non era Jean-Luc Godard, Richard Gere non era Jean-Paul Belmondo, Valerie Kaprisky non era Jean Seberg, anche se era l’unica ragione che mi spinse a pagare il biglietto del cinema.
Però la canzone che partiva sul fermo-immagine finale (uno dei finali più ridicoli di cui conservi memoria, tra l’altro) era fulminante, era qualcosa che sentivo mio, per me a cui il primo Clash aveva appena iniziato a stravolgere la vita; chi la suonasse o quale fosse il titolo, non ne avevo la più pallida idea, proprio come non avevo idea di chi fosse Jean-Luc Godard.
Ma non avevo dubbi che stesse succedendo qualcosa.
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“Mi sento fortunatissima per aver avuto modo di fare quelle cose, per essere stata lì all’inizio, quando tutto sembrava possibile e chiunque era il benvenuto. Mi sento ancora più fortunata perché sono sopravvissuta. È stato il momento più bello della mia vita.”
(Jane Wiedlin, Go-Go’s)
Era il 2017.
A dar retta a chi sostiene che il punk lo inventarono i Sex Pistols nel 1977, erano passati 40 anni e la ricorrenza andava celebrata degnamente a suon di ristampe, libri, re-union e concerti.
Festeggiarono anche gli X, non l’invenzione del punk ma la loro formazione e, forse ancora più, la semplice circostanza di essere lì, tutti e quattro, ammaccati quanto si vuole ma lì.
Qualche concerto per confermarmi nella certezza che gli eroi sono giovani e belli solo quando muoiono giovani e belli e che la chioma corvina e le labbra nere come il catrame appena steso di Exene ormai erano solo nella celebre foto dove lei sbarra gli occhi e incrocia le braccia a formare una X.
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“Grazie a tutti per averci supportato …”
(X)
Era il 2020.
Gli X tornavano con un nuovo album a distanza di 27 anni dal precedente e nella formazione originale dopo 35 anni.
A prescindere dalla bellezza di “Alphabetland”, la sensazione era (ed è tuttora) che fosse un segno di rispetto e gratitudine per il fandom, avvalorata dal minuto conclusivo del video “I Gotta Fever”: “Thanks to all of our fans who contributed …” e una sequenza di nomi in ordine alfabetico – da Adrianne C. a Yvonne Speck – ogni nome un fan che aveva recapitato agli X il biglietto di un concerto, una foto-ricordo, un articolo ritagliato da chissà dove e migliaia di memorabilia che di quel video erano le uniche protagoniste.
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È il 2 agosto 2024 quando Bandcamp mi avvisa che ha per me due notizie, una buona e l’altra no, e mi chiede quale voglia conoscere prima.
Quella buona, gli rispondo.
È uscito il nuovo album degli X.
Grazie, già lo so, l’ho pre-ordinato due mesi fa. Adesso spiattella la cattiva notizia, ché devo correre ad ascoltare l’album.
Gli X finiscono qua.
So anche questo, grazie ancora, la Fat Possum me l’ha scritto in Times New Roman 40 che è l’album finale, ultima volta insieme in studio di registrazione per Exene, John, Billy e DJ. So perfino che a ottobre inizieranno un tour per salutare e ringraziare idealmente tutti quelli che continuano a far girare su un piatto un qualsiasi loro vinile, da “Los Angeles” a “Smoke & Fiction”. Se hai finito, vado a far girare sul piatto “Smoke & Fiction”.
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“Se ne doveva andare / … / Aveva iniziato a odiare i negri e gli ebrei, i messicani che la riempivano di merda, i froci e i miliardari nullafacenti / … / Era stata dura dire addio alla sua migliore amica, aveva comprato un orologio su Hollywood Boulevard il giorno in cui se n’era andata, era triste doversene andare”
(X, Los Angeles)
Da Los “Angeles” a “Smoke & Fiction” è una corsa vorticosa attraverso Los Angeles, capolinea al 1118 di Genesee Avenue, da una grande X infuocata nelle tenebre ad una grande X che ha smesso di bruciare perché nessun fuoco è eterno, 33 giri al minuto per oltre 40 anni: alla fine gli X da Los Angeles non se ne sono mai andati e hanno sempre continuato a raccontarmela, anche se non sempre gli ho dato ascolto.
Los Angeles me l’hanno raccontata in tanti, dai Germs ai Blasters, dagli Zeros ai Los Lobos, ognuno a modo loro.
Gli X me l’hanno raccontata come se ogni canzone fosse un capitolo di un romanzo di Raymond Chandler o di James Ellroy, Hollywood sullo sfondo, in primo piano l’investigatore Marlowe ieri e il sergente Hopkins oggi, presi a scandagliare il subbuglio che si agita dentro milioni di poveri cristo, si chiami cinismo, si chiami vizio, sia quel dolore che per molti è un compagno più fidato dell’amore, quello di chi ti dà il buongiorno al mattino chiamandoti “tesoro” dopo averti massacrato di botte per tutta la notte.
Non so se i testi delle canzoni degli X possano essere definiti “letteratura” o perfino “poesia”, so solo che quello di “Sex and Dying in the High Society” non è inferiore a Chandler e supera Ellroy e che chiunque ascolta una canzone degli X senza sapere cosa stanno cantando Exene e John perde davvero tanto.
Poi, l’immagine di lei che compra l’orologio su Hollywoodd Bld. il giorno in cui se ne va da Los Angeles mi è rimasta impressa molto più profondamente delle poesie mandate a memoria dietro un banco.
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“Non era mai esistito niente di simile al punk di L.A. e non sarebbe mai esistito dopo. Abbiamo vinto.”
(Exene Cervenka, X)
Non so darle torto.
Aggiungo solo che non è mai esistito nessuno simile agli X e non esisterà.
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Per chi ha avuto la pazienza di leggere queste righe fino in fondo sperando di trovarci uno straccio di recensione, l’album è splendido, “Big Black X” ti fa piangere di emozione per 3 minuti e 35 secondi e, in un’improponibile classifica, lassù in alto in alto, così in alto che è pure difficile da concepire, ci sta “Los Angeles”, poi “Under a Big Black Sun”, “Smoke & Fiction” tiene compagnia a “More Fun in the New World”.
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