Ci sono cose che odio particolarmente.
Tipo gli ombrelli.
Propaggini bagnaticce e ingombranti sempre connesse ad episodi di - vado elencando - goffaggine, intemperie, vento, moccio al naso, rettoscopie alla buona.
Ma, soprattutto, detesto gli ombrelli perché sono l'esempio alfa del ciarpame domestico sempre fra i piedi quando a te fregacazzi. "Oddio, dov'è finito il mio container in lamiera grecata?". Lo sa il cazzo, ma ecco che tu, tra le palle, hai sempre il tuo bell'ombrello. Non importa quale pertugio ispezionerai in preda al trauma da abbandono di prefabbricati. Solo ombrelli a chili. O altra prescindibile minutaglia come chiavi, kleenex, madri ansiogene e pattine.
Quando gli egregi utensili ti servono, invece, toccherai con mano l'esistenza dell'antimateria.
Detesto gli ombrelli, dicevo, ma amo (amavo?) gli A.F.I.
La prima volta? Facile, il 1-2-2001, visti live nel fu regno di Gentilini.
Ero un bel maritozzo 13enne, scemo e felice.
Ignoravo cosa fossero sesso e acne, e pensavo che la scritta "with A.F.I." sul biglietto si riferisse alla strumentazione in dotazione agli Offspring, headliner della serata e miei idoli indiscussi, cui avrei di buon grado sacrificato la madre ansiogena di qualche rigo fa.
Insomma, mettevo a dura prova il darwinismo.
Fino a quella notte, almeno.
Via le luci. E fu la svolta. Anzi, la svoltona.
Col senno degli anni a venire avrei preferito una sveltina, ma vaffanculo, la tripletta iniziale era "Fall Children", "The Prayer Position" e "Sacrifice Theory". Ma quali Offspring.
Questi erano pazzi, ragazzi miei. Volava tutto. Crepuscoli. Rantoli. Pausa. Fuochi fatui. Tagliole. Pausa. Lava. Carillon e sibili. Il diavolo. E poi c'era il tupa tupa, ovvio.
Onnipresente. Compulsivo. Claustrofobico.
Tupa tupa.
Tupa tupa.
Ormai crash e tom singhiozzavano all'unisono col mio cuore.
Non so come, magari per osmosi, ma "diventai grande di colpo". La peggio frase, è vero, ma fu proprio così. Lo sguaiato sabba di "Halloween" mi fece apprezzare profondamente la banalità del male: improvvisamente scoprii una nuova Lodi, ben più sinistra e interessante. E poi era pieno di punk. Di passere punk.
Capii che i pantaloni corti d'inverno erano l'anticamera della coscienza rivoluzionaria.
Quella sera avrei dormito fuori.
Quella sera avrei bevuto la birra.
Adoravo gli A.F.I.
Non avevano un cazzo da spartire con gli ombrelli. Almeno allora.
Il resto è notissima materia da rotocalchi.
2006. Decemberunderground. Miss Merda. E il giocattolo si rompe. Si smette di stupire e si diventa una di quelle band con il fan club di Affori e i prechorus. Il baratto istinto-mestiere, il perculamento del diy, lo capii da questo eloquentissimo step: via le tablature dal sito. Praticamente, la morte. Basta suggestioni da carboneria p2p, solo premiere su MySpace e live aid per malattie lussuosissime tipo il vaiolo. Chemmerda. Un gruppo da femmine. Ombrelloni aperti nel retto.
Dov'era il vero gruppo di Ukiah? A perdifiato mi affannavo a cercarli, a supplicare un back to the roots, ma zero. Ombrelli, sono.
Crash Love e Burials esondano schifo che manco il Lambro, e io me la metto via. Basta, non li cerco più. Stop alle chimere.
E poi niente. Il numero.
2014. Mr. Puget e Mr. Havok si inventano una band hardcore punk come side project della loro band hardcore punk che non fa più hardcore punk. Il complesso di Edipo gli fa una sega.
Resurrezione. Proprio quando per me erano morti: il teorema dell'ombrello non si smentisce mai.
Che vittoria, insperata ed incredibile. Cazzo, sembra il '99. A parte il definirsi "straight edge hardcore" nel terzo millennio, che pare una trollata da chilo, han tutte le curve al posto giusto. Sono finalmente la band - almeno, per il 50% - che ho sempre sognato diventassero.
Ma quali Cure, quale New Wave, quali sonorità crepuscolari. E 'stocazzo de piano. Dupalle. Seguite le vostre intuizioni: più brüdal e più elettronica. Stop. 10 anni che ve lo dico.
Non inventano nulla, ma cazzo c'hanno un mestiere: svasi free jazz à la Ben Weinman, blastbeat death swedese inyafeisss, incursioni industrial. E poi si scherza con Negative Approach ("Exterminate") ed Earth Crisis ("Social Deathplay"); parossismi math core arabescano una ritmica che suona più Damaged che Out of Step.
Dave urla da dio e gli perdoni pure i testi da vegan-celodurista-anti-peyote: davvero, a perdersi nei rivoli di "Merciless" - forse la meglio - paiono i Dillinger Escape Plan.
Ma rimangono loro, che diamine. Ed è proprio qui che la classe si mostra: dopo 15 anni, "Midnight Sun" riverbera naturalissima nell'intro di "The Breed". E, cazzo, gli arpeggini tattici e quegli armonici lì, da sbavo, sono gli stessi di "The Art of Drowning".
Jade Puget ha vinto, signori. Nessun compitino. Solo un lavoro ispiratissimo (il migliore?) di un onesto chitarrista che ha capito la cosa fondamentale: gli A.F.I. non devono salvare il mondo, devono solo suonare pancroc.
Si provasse ad ascoltar un po' più la pancia e i tifosotti: portatevi dietro anche la sezione ritmica e fate del vecchio gruppo la vostra bad company, ché ci divertiamo ancora.
Ma non sarà così.
Perché 'sta cosa degli XTRMST ha ben poco di diy, SxE e porcoddue vari. Già dal nome, "brandizzato" ed addomesticato ai canoni Dim Mak, si capisce che aria tira. Già dalla combo coattiva LP+CD a 18 $ si intende che quel che conta è l'effetto VISA.
La verità? Con gli A.F.I. mi s' incazza la base a sentire altri cloni di Summer Shudder, si perdono segmenti di mercato. Impacchettiamo una bella band che dice di fare a linguinbocca con gli Slapshot e ci siamo: ingrassiamo sia con i kids che con l'euforia premenarca di Affori.
E sarà senz'altro così, un bel pogone pianificato e nienteppiù. Eppure si respira un'aria di libertà, con quest'album, che sfugge persino alle cappe ammorbanti e milionarie della Interscope. Freschezza, voglia di dire "e invece no, noi l'hc lo insegnamo ancora. Con uno stile che voialtri vi sognate."
Certo, passione senz'altro di facciata, sincera fino al saldo di fine trimestre. Ma l'innocenza è utopia. Noi cerchiamo solo eccellenti diversivi, l'illusione che la gioventù bruciata non si sia ridotta in cenere.
Il resto è noia. E i miei 18 verdoni sono già volati a Frisco. Eccoli, gli hipstercorers dell'ultima ora, gridare allo scandalo rifugiandosi fra i Disrupt.
Si sa, haters gonna hate. Con altri nomi tra i credits, li amerebbero.
E il gesto dell'ombrello è un attimo.
Basta trovarlo.
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