Sull'annosa questione della musica da suonare al proprio funerale e sull'opportunità di lasciare all'idiozia l'ultima parola.

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Se siamo riusciti ad allentare la presa, non l'abbiamo comunque allentata abbastanza. Se non ci siam mai creduti chissà chi, ci siam comunque creduti chissà cosa.

Si, lo so, detta così sembra semplice, un pensierino della domenica o una frasetta che si potrebbe leggere in un settimanale femminile a la page. Del resto son tutti bravissimi a svender l'essenziale.

In realtà però non è semplice per niente. Che non è che te la cavi dicendo “si, è così”, oh no, quello son capaci tutti, persino io.

Il pensiero, si sa, dovrebbe esser pratico, utile cioè a vivere meglio e il problema è che tutti i “si è così” sono continuamente smentiti dall'esperienza, perlomeno dalla mia. Ecco perché son sicuro che passerò il resto della mia vita a non capire un cazzo.

Immagino allora che sarà la morte a cantarmela chiara. “A che è servito -mi dirà- affannarsi così tanto, cercare di essere in gamba, perorare fino al furore quelle quattro idee striminzite quando di idee ne sarebbe bastata mezza?”

Ah signori, il vantaggio di essere morti è che le cose si capiscono al volo.

Senza contare che la nera signora dopo il predicozzo ti fa sempre vedere come si fa. Come in quel film dove un ometto, una volta morto, fluttua (eccome se fluttua) e ridacchia (eccome se ridacchia) improvvisamente pacificato.

“Adesso l'hai allentata la presa, eh Johnny?”

E' che da morti si vive benissimo.

Mal che vada, rimane solo un po' di rabbia, scaricabile, sotto forma di gioiosa pisciata, sulla testa del primo stronzo di passaggio. Sempre che il sacro flusso non lo si voglia esibire il giorno nel quale certe teste non mancano mai, ovvero quello del proprio funerale

“Vi piscio sopra tutti, e da una considerabile altezza”, diceva quello.

Che poi, a proposito di funerali, io, il mio (menù, discorsi, playlist e via dicendo) lo sto pianificando, da trent'anni almeno.

Sapeste quante scombiccherate fantasie mi hanno volta a volta acceso per poi irrimediabilmente essere scartate.

Quella che, nei suoi elementi essenziali, vi offro oggi è solo l'ultima di un centinaio di versioni succedutesi nel tempo.

E allora ecco a voi un bimbetto che declama una di quelle filastrocche che da sempre sono nel mio cuore. C'è solo l'imbarazzo della scelta, ma, al momento, la mia preferita è quella delle quattro vecchie...

“Din don campanon, quattro vecchie sul balcon, una che fila, una che taglia, una che fa i cappelli di paglia, una che fa i coltelli d'argento per tagliare la testa al vento”.

Dopo la filastrocca, ecco il discorso funebre pronunziato da colui che avrà il compito di onorarmi davanti al volgo. Sto parlando del più grande retore da bar della Romagna tutta, ovvero messer Minchia Volante.

Quel che dirà, immagino, sarà una cosa del tipo: “il mondo è talmente assurdo che tanto vale essere più assurdi di lui” e lo dirà, sono sicuro, molto ma molto meglio di quanto stia facendo io adesso.

E infine, ultima ma non ultima, la musica...

Fino a ieri avrei detto i vari Nick, Syd , Tim + più quella canzoncina Velvet dove Nico canta come una bimba in castigo. Oggi però, artefici gli Yello, ho cambiato idea

E' che, ascoltandoli, mi son chiesto: se da morti fluttiamo e ridiamo, se filastrocca e orazione, ovvero l'atto primo e l'atto secondo della cerimonia, virano verso l'assurdo, non dovrebbe anche la musica esser fatta della stessa pasta?

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Yello Yello Yello il nome fa un po ridere e il fatto che son Svizzeri fa ridere anche di più. Se poi penso che il loro front man sembra una variante aristo/wave dell'ispettore Closeau e l'altro, tutto baffetti, un gemellino degli Sparks...

Ah, dimenticavo, in questo primo disco anche un certo senor Peron è della partita.

Comunque, se volete sapere qualcosa della musica, pensate a un favoloso e stupidissimo copia incolla, poi prendete i Kraftwerk (e magari anche i Residents) e moltiplicate per quella strana specie di muppet in copertina.

Che quel che qui trovate è una terrificante accozzaglia di scherzi ben riusciti...

Sberleffi da un minuto/ritmi folli/voci parodistiche/coretti tanto per fare...

E ancora: polke per strumenti giocattolo/insensatezze dub/frammenti quasi Eno/ tormentoni quasi disco/avanguardia quasi seria...

E udite udite, sebbene solo qua e la. canzoni quasi canzoni...

Il tutto sotto il segno di un favoloso gusto anarchico e dell'idiozia più figa che ci sia.

Con parole suono vicine al significante puro.

Naturalmente per il mio funerale estrarrò solo i numeri più sciocchissimi, deliziose macchine inutili innamorate dei loro ingranaggi di lieta follia.

Canzoncine dagli appropriatissimi (und mirabili) titoli, tipo “Bimbo” o “Bananas”...

E quindi, ve lo ripeto, per quel fatidico giorno, niente Nick niente Tim, niente Syd. Niente canzoncina Velvet con Nico che canta come una bimba in castigo.

Per una volta uccidiamo anche noi il chiaro di luna.

Non trovo miglior modo di salutarvi che con le parole di “Bananas”, eccole qua, tutte per voi:

“Le le lee

I mono wayso jambo pe janga poje

Onte myo sobo jo maame jauo peijosau

Kokonipi jao sobo jambo, jambo pomi peso

I go bananas

Bananas to the beat

Au revoir...

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