Leningrado, odierna San Pietroburgo, 1989.

Nella spartana Unione Sovietica, ormai giunta alla fine dell'epopea (e dittatura) comunista, si esibisce il chitarrista più presuntuoso, vanesio, barocco e kitsch dell'Heavy Metal: Yngwie J. Malmsteen e i suoi Rising Force.

Il contrasto di stili c'è e si nota: Malmsteen è vestito con una camicia stile settecentesca aperta sul petto, pantaloni di pelle e capello fonato. Mai visto uno spettacolo del genere in un paese del blocco orientale, abituato alle pacchianate solo in occasione delle parate militari. Proprio questo concerto, però, consacrerà al mondo il talento (indubbio) di questo giovane guitar hero scandinavo, salvo poi perdersi nei lavori successivi in studio (ma che il sottoscritto ha sempre apprezzato). La pubblicazione di questo live arriva al momento giusto, il chitarrista svedese è sulla cresta dell'onda dopo il successo dei primi quattro album da solista ("Rising Force", "Trilogy" e "Odyssey", vengono esclusi i brani di "Marching Out").

La scaletta del live racchiude in se diversi generi del metal, dal neoclassico all'hair, passando per l'AOR (grazie anche alla collaborazione con Joe Lynn Turner). Oltre a Malmsteen e l'ex-frontman dei Rainbow, ci sono anche Anders Johannsson alla batteria, Barry Dunaway al basso e quel talento immenso di Jens Johansson alle tastiere che, nonostante abbia il semplice ruolo di comprimario, si esibisce in una performance magistrale.

L'inizio è da copione nei concerti Rock-Metal, che vedono, di norma, come opener-track un brano veloce ed immediato. In questo è "Liar". Malmsteen si trova a suo agio quando la velocità è elevata e il suo assolo ricco di scale e arpeggi è azzeccato più che mai, stesso discorso per Johansson che si scatena al synth. Anche Turner riesce a ricavarsi il suo spazio di prepotenza, offrendo una prestazione fenomenale nelle successive "Queen In Love" e "Déjà Vu" (qui A.Johannsson picchia duro con la doppia cassa).

Un sottofondo oscuro di synth apre l'"Adagio", un pezzo di rara maestria, in perfetto stile neoclassico e che ci introduce il capolavoro assoluto di tutta la carriera di Malmsteen: "Far Beyond The Sun". Velocità folle, arpeggi e scale, sfida di solos tra chitarrista e tastierista rendono questa canzone il pezzo forte del concerto. Senza dimentica l'apporto fondamentale in fase ritmica di Dunaway e A.Johannsson, che ci danno dentro più che mai.

Si scende un po’ di livello con "Heaven Tonight", tipico brano commerciale. Spazio al metal neoclassico, invece, con "You Don't Remember I'll Never Forget" (dove Malmsteen "cita" il suo idolo, Blackmore, suonando una piccola parte della sfida di Strange Kind Of Woman), "Crystal Ball" e "Black Star", quest'ultimo è un brano di rara bellezza che mette in mostra le capacità compositive di Malmsteen.

Nel mezzo il chitarrista si prende tutto il palcoscenico nel suo "Guitar Solo", dove esegue parte di "Trilogy Suite Op.5" (che brano!), arpeggi e scale varie come di consueto ed infine anche un piccolo blues: "Spasebo Blues".

Ecco, però, il vero tallone d'Achille di Malmsteen: il blues. Un genere che per nulla si addice al bagaglio culturale del chitarrista svedese e lo si nota anche nell'ultima canzone, omaggio a Jimi Hendrix con "Spanish Castle Magic". Omaggio che si rivela più che altro un omicidio, poiché a nulla servono le numerosissime note al secondo di Malmsteen in un brano blues, stile che predilige ben altre melodie.

Tralasciando questa piccola caduta, il live rimane un'ottima performance degli Yngwie Malmsteen's Rising Force, pionieri del Metal Neoclassico.

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