Malmsteen è un chitarrista sborone. No, anzi, Malmsteen è il papà di tutti i chitarristi sboroni. Lui è uno che se ti vede con una chitarra suonare una pentatonica, ti dà una scappellotto, si prende la chitarra e comincia a suonare le sue 10.000 note e, magari, ti insulta anche perché un vero chitarrista suona 10.000 note. Malmsteen parla male di tutto e di tutti: le sue interviste sono esilaranti, ve ne è una in cui parla male di tutti i chitarristi moderni perché suonano le pentatoniche e non sanno fare i bends. Malmsteen ha un carattere impossibile. Malmsteen ha un sacco di Ferrari ed in una di queste, una volta, ci stava lasciando anche le penne. Un suo manager una volta lo fregò e gli rubò tutti i soldi. Malmsteen si crede il migliore chitarrista del mondo, quando in realtà già dal giorno dopo la pubblicazione del suo primo disco era oramai superato. Malmsteen aveva un talento immenso sprecato nella sua prosopopea e nei suoi lussi. Malmsteen è oggi una persona decisamente in sovrappeso. Malmsteen è questo e forse peggio, ma ha sicuramente un merito, quello di aver influenzato i 3/4 della scena metal mondiale passata ed attuale, perché se esistono band come Stratovarius, Symphony X, Adagio, Vision Divine e le miriadi band neo progressive il merito è suo. Vado oltre, perché ha influenzato anche se in misura minore anche gli Helloweeen e tutta la scena power/epic. Dopo la pubblicazione del suo primo album, nonostante l’ immensa considerazione che aveva di sé, capendo che oramai aveva ben poco da aggiungere al suo chitarrismo decise di concentrarsi sulla realizzazione di dischi in cui l’ impatto strumentale era meno presente a favore della forma canzone. Marching out, Trilogy ed Odyssey risultano essere il frutto di questa decisione, tre must degli anni ’ 80 che porranno le basi per gran parte del metal degli anni seguenti. Tra i tre è forse Trilogy quello di più alto valore artistico.
Tralasciando la copertina, pacchiana all’ inverosimile, non si può restare indifferenti dinanzi ai suoi contenuti: I don’t remember I'll never forget, Queen in love, Liar è un trittico micidiale in cui Deep Purple, Rainbow e certo AOR scandinavo viene amalgamato alla perfezione. Le tastiere presenti in I don’t remember influenzeranno un bel po’ gli Europe di The final countdown. Malmsteen si contiene suonando le sue 10.000 note solo negli assoli che, a dir del vero, nei brani calzano a perfezione. Non mancano i momenti strumentali come la struggente Crying e Trilogy suite in cui vi è spazio anche per il tastierista Jens Johansson che, come è giusto che sia, saranno oggetto di critica di tutti gli antisboronici di questo mondo. Gli altri brani Fury, Magic mirror, Fire e Dark age evidenziano ancora una volta l’amore dello svedese per i suoni blackmoriani e per le sonorità barocche ed epiche, senza sboroneggiare più di tanto.
Dopo l’ottimo Odyssey, i dischi successivi conterranno sempre un paio di episodi rilevanti ma il resto è ampiamente trascurabile, segno evidente che con quel disco aveva quasi terminato anche il discorso “ecco una buona canzone” . Nella sua vasta discografia Malmsteen ha scritto pochi strumentali, ma nell’ immaginario collettivo è e resterà il più tamarro dei chitarristi. Io però farei attenzione a faro arrabbiare: se è capace di fermare un drago con la sua chitarra, immaginate cosa potrebbe farvi…ogni giorno migliaia di persone parlano male di Malmsteen. Ogni giorno quelle stesse persone si svegliano, si vestono e vanno al lavoro, magari dopo un’ora di coda nel traffico o dopo aver preso l’autobus alla Fantozzi. Ogni giorno Malmsteen si sveglia, si veste e va a lucidare le sue Ferrari ed il suo lavoro? Suonare le 10.000 note… Malmsteen aveva un dono e l’ha sfruttato all’ inverosimile ed ora ha le Ferrari. Chi lo denigra lo fa spesso giustamente, ma deve lavorare, non ha le Ferrari e, sono sicuro, non sa suonare neanche le 10.000 note. Malmsteen se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
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