Yngwie Johan Malmsteen è un chitarrista svedese nato nel 1963; è sicuramente un predestinato, seppur figlio di musicisti ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta, folgorato in qualche modo dalla messa in onda del funerale del suo illustre predecessore Jimi Hendrix; deve averlo avvertito come un segno del destino, una specie di iniziazione divina, tant'è che il nostro ragazzotto quel giorno decide che diventerà lui la nuova leggenda della musica, in particolare del mondo dei chitarristi. Si prende molto sul serio il nostro Yngwie, di certo l'umiltà non è il suo forte, fa anche un po' sorridere il fatto che lui si senta di inserire nelle note dei suoi album i ringraziamenti per la "collaborazione" nei confronti dei grandi artisti del passato, nomi poco altisonanti come Vivaldi, Da Vinci, Beethoven, Paganini, personaggi che in cuor suo sente potere essere tra i pochi degni della sua attenzione, di potere essere considerati in qualche modo al suo livello. In fin dei conti un fondo di verità ci può anche essere, effettivamente Malmsteen tortura in modo incredibile la sua Stratocaster e la porta ad emettere melodie ad una velocità stratoferica, mai raggiunta prima da nessun altro, il tutto con una pulizia di suono veramente incredibile, e non inganni il fatto che si tratta di musica registrata in studio, l'artista svedese arriverà alle stesse prestazioni anche nei suoi Live; l'influenza dei grandi maestri del passato appare evidente in parecchi dei fraseggi proposti da Yngwie. La stessa Fender rilascerà sul mercato il modello chiamato appunto "Malmsteen", con i caratteristici scavetti in prossimità dei tasti, e non credo che tutti i chitarristi del mondo possano dire la stessa cosa. Altra grande passione dell'artista è la Ferrari, di cui spesso lui ricorda averne il garage pieno, con la modestia che lo contraddistingue; negli anni successivi alcune sue canzoni saranno dedicate proprio al Cavallino di Maranello.
Ora però è arrivato il momento di recensire Trilogy, a mio avviso il suo disco che maggiormente abbina le sue performances strabilianti ad un livello melodico comunque di tutto rispetto.
La line up di quest'album prevede lo stesso Malmsteen cimentarsi anche col basso, obiettivamente con eccellenti risultati; alla voce l'ottimo Mark Boals, che si disimpegnerà molto bene nell'ingrato ruolo di cantante non frontman, accompagnando in modo egregio le melodie del suo Leader; completano la formazione i fratelli Johansson (Jens e Anders) rispettivamente alle tastiere e alla batteria. Non inganni l'uso intensivo delle tastiere, il disco ha la giusta dose di grinta rockettara e mantiene comunque distanze significative col sound dei vicini di casa Europe, con cui condividono oltre alle chiome bionde fluenti anche certe atmosfere non proprio così metallare.
L'album comprende in tutto nove tracce, di cui "solamente" due completamente strumentali, la bellissima lenta "Crying" dalla melodia struggente e la maestosa ultima track "Trilogy Suite Op. 5", lunghissime interminabili in cui si alternano l'uso di strumento acustico ed elettrico, davvero due pezzi di altissimo livello. In tutte le canzoni comunque è sempre assicurato un assolo del nostro eroe, e veramente si fa fatica a sceglierne uno, a partire da "You don't rememeber, I'll never forget", proseguento con "Liar" e "Queen in love". Forse il solo più bello è quello di "Fire", ma anche quello di "Magic Mirror" avrà negli anni a seguire un tentativo incalcolabile di repliche da parte dei chitarristi in erba di tutto il mondo. Unica song un tantino sotto la media direi essere "Dark Ages", con questa atmosfera un po' noir e un ritmo un po' troppo compassato (non manca comunque solito assolo superlativo di Yngwie).
Questo disco si divora piacevolmente in una quarantina di minuti, non è strettamente indispensabile essere appassionati del genere guitar hero per metterselo in scaffale, di certo nessuno potrà rimanere deluso; a mio avviso nelle altre sue opere (sia precedenti che successive) non si arriverà mai allo stesso livello di Trilogy.

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