La musica alternativa italiana sta vivendo la sua primavera. Proprio così, da quando le major discografiche stanno perdendo soldi a palate per via del fatto che c'è internet e ormai nemmeno più il classico fruitore di prodottacci da classifica ci pensa più a sborsare 20 euro per un cd le piccole case discografiche indipendenti hanno finalmente capito che è il caso di farsi furbe e leggittimare la propria sopravvivenza. E hanno deciso di farlo assoldando gruppi di qualità a ritmi incessanti e investendo molto sulla loro crescita. E va bene, questo lo sapete anche voi, meglio di me sicuramente.

Insomma, c'è da felicitarsene... non fosse per il fatto che, diamine, certi gruppi sembra lo faccianno apposta a rimanere incastrati nella nicchia più fetida dell'underground. "Cioè, 'n che ssenso visto che l'andergraund n'esiste mica più da quando c'è il uèbb?" vi chiederete. Semplice, questi geni masochisti decidono di chiamare le loro band con nomi improbabili che se ti metti a elencare tutti i nomi a uno che non è avezzo finisci per fare la figura dell'hipster col cervello brasato. Ecco una dimostrazione rapida: Bud Spencer Blues Explosion, Le Man Avec Les Lunettes, The Calorifer Is Very Hot!, The Infarto, Scheisse!, Sikitikis, Albanopower, Wora Wora Washington, ecc. Ecco, hai una band, magari sei pure bravo: perché rovinare tutto con un nome da sfigato?

Questo solo per dire che la prima volta che vidi il disco degli Yokoano al megastore mi corse un brivido lungo la schiena e ho pensai "Ma con un nome così scemo e una copertina così anonima (pure sulle copertine ce ne sarebbe da dire) come puoi pretendere ch'io ti compri, così, a scatola chiusa?". Infatti, lo lasciai lì dov'era.  Tornato a casa, però, volli fare una ricerca su Gogol e, che culo!, l'intero disco era in streaming su Rockit. Pigiai play e...

SBEEEM!

Che botta! Non mi capitava per le orecchie un disco italiano così consistente, immediato e potente dai tempi del debutto del Teatro degli Orrori (ok, magari non proprio da così tanto tempo. Pure l'ultimo dei Fine Before You Came mi colpì, però in modo diverso. Allo stomaco, non in faccia.), tant'è che poi tornai al negozio e lo comprai (mica vorrete derubare la nostra industria, verooo?.

Ok, ok, bella premessa (me lo dico da solo, sì), ma arriviamo al sodo: cos'è questo debutto degli Yokoano (che poi debuttanti debuttanti non sono dato che chitarra e voce sono di Daniele Marceca, già nei Porno Riviste)?  Diciamo che è un mistone ben amalgamato di tante cosine belle: c'è un basso slappato sempre in bella vista che fa pensare al nu-metal (magari quello più easy tipo System of a Down), ci sono dei continui e repentini stop&go che mi rimembrano i (ooooooh) Fugazi e ci sono anche bei ritornelli da singalong a squarciagola urlati da un'ottima voce piena ed elastica, a volte pulita, altre ruvida e luciferina. Un bel disco incazzoso che ti sputa in faccia come non se ne sentono in gran parte dei dischi indie italici che sembrano fatti da morti di sonno rimbambiti di fumo e seghe. Questo ha, infatti, il pregio di partire a razzo con tre pezzi collegati che non lasciano prendere fiato, finiti i quali, ed ecco un altro pregio ancor più grande, il disco non cala di ritmo (aiutato anche dalla breve durata: 35 minuti) ma addirittura incalza con la filastrocca-scioglilingua-rap di "Qui" su una base gommosa, ottima per un pogo scatenato. Quindi, ci spara un'iniezione di adrenalina con "Mai: parte velocissima come una schiacciasassi con un tigre nel motore per poi rilassarsi in un cambio di tempo che vira verso una bella coda strumentale. E i brani che vengono dopo tengono alto il fomento, fra cambi di tempo, sfuriate hardcore e sballi funkeggianti, fino alla delicata e bella traccia di congedo "Shhhhh", che ci rilassa e ci asciuga il sudore con un cullante violoncello. 

Perfetto, ora passiamo alle cose meno belle. Come detto l'album dura poco e non ci sono soluzioni variegate: è un disco omogeneo che mantiene dall'inizio alla fine lo stesso suono, che non è proprio un male, ma certo un intermezzo con qualche soluzione più colorata si poteva tentare. Altra cosa: i testi un po' prolissi, divisi fra l'ermetico e il diretto, cosa che crea un po' di confusione. Non brutti, per carità, ma nemmeno qualcosa che si ricorda o colpisce particolarmente anche se, in linea di massima, ho capito che parlano della decadenza della nostra società infangata dalla cultura berlusconiana, credo. Gli unici testi che mi hanno destato interesse sono un pogheggiante "salta, salta, salta, salta!" (ahem...) e un altro brano in cui viene pronunciata la parola "merda" (ri-ahem...). Ma è chiaro che il talento (soprattutto vocale) non manca e penso ci possano essere notevoli margini di miglioramento. Staremo a vedere: ho il sospetto che dal vivo spacchino il culo ai passeri, chissà.

Forza Yokoano (brrrr), confido in voi!

Voto finale: 3,5 ma se siete disposti a sorvolare sulle, seppur marginali, magagne evidenziate metteteci pure un mezzo punto in più (e accattatevillo!).

Postilla per dovere di cronaca: la suddetta opera è la prima pubblicata per la Canapa, nuova etichetta fondata dai Punkreas.

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