Penso che sebbene il processo fosse in atto già da diversi anni, si possa benissimo dire che chi appartenga alla mia generazione (sono nato nel 1984) abbia vissuto direttamente sulla propria pelle la fine della storia del cinema o almeno di come questo sia stato concepito sin dalle origini. È stata una cosa graduale, fino al punto in cui un film esce su Netflix e la sera stessa te lo trovi in free streaming. Aggiungiamoci poi che in questo caso particolare il film sia il remake di un cortometraggio che è stato accolto con grande apprezzamento su YouTube e il quadro si può dire completo.

Comunque non lo so se sia meglio o peggio che prima, credo che come molte cose, invece che fare delle classifiche, vadano considerate nel proprio suo tempo e contesto specifico. Così farei lo stesso anche con questo film di sci-fi apocalittica diretto da Yolanda Ramke (che ha anche scritto la sceneggiatura) e Ben Howling uscito praticamente due-tre giorni fa in esclusiva su Netflix. Girato e ambientato in Australia, ancora una volta "Cargo" riprende quel tema caro a tutti gli spettatori che racconta la diffusione di una pandemia che trasforma le persone in zombi e che si è diffusa con rapidità incredibile in tutto il mondo. Praticamente niente di originale da questo punto di vista, anche se determinate ambientazioni e aspetti meritano di essere considerati e il giudizio complessivo sul film non è poi così negativo come si potrebbe pensare.

Protagonista della storia (ambientata in bellissime e selvagge ambientazioni dell'entroterra australiano) è un uomo di nome Andy Rose (Martin Freeman) che dopo essere stato egli stesso contagiato (la "mutazione" si compie dopo un determinato lasso di tempo) e aver perso la moglie, cerca di sfuggire alla regressione allo stato zombi, ma soprattutto di raggiungere un posto sicuro dove condurre in salvo la propria figlia. La storia si sviluppa con un inizio le cui ambientazioni costituiscono chiaramente un omaggio a "Apocalypse Now": in uno scenario completamente selvaggio vediamo i protagonisti viaggiare attraverso un fiume a bordo di una barca, l'unico modo per restare isolati dal contagio che oramai costituisce qualche cosa di dominante a livello globale. Ma nella seconda parte del film, alla ricerca della salvezza il protagonista sarà costretto a avventurarsi nello spettacolare entroterra australiano (già celebrato da altri film "indie" del genere sci-fi come "The Rover") dove scopriremo che la possibile rinascita del genere umano potrebbe stare in un ideale ritorno al legame più stretto con la terra secondo una visione espressa dal regista che è in parte ideologica e in parte forse anche buonista, ingenua, ma non priva di una certa reverenza verso una componente spiritista e lo sciamanesimo degli aborigeni dell'emisfero australe, che poi con alcune quanto altrettanto ristrette popolazioni dell'Amazzonia costituiscono le ultime fiere resistenze di un mondo lontano e forse obsoleto, ma la cui fascinazione costituisce una suggestione evidentemente molto forte.

Oggettivamente non particolarmente originale, né brillante nel trattare i temi accennati, "Cargo" punta forte sua bellezza delle ambientazioni (check) e va a colpo sicuro con i cari vecchi zombi che piacciono sempre a tutti, ma non è né sarà mai un film indimenticabile. La sua particolarità sta nel contatto con la cultura aborigena, questo ritorno segnato dal legame tra il protagonista e la giovane Thoomi (la bravissima Simone Landers) però quello che ne possiamo derivare sono più congetture e nostre speculazioni che vere e proprie proposte tematiche.

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