A quasi cinque mesi dalla vittoria del Leone d'Oro a Venezia e a cinque anni dall'uscita italiana de La Favorita, finalmente è al cinema il nuovo film di Yorgos Lanthimos, uno dei più grandi autori cinematografici di quest'epoca, nonché uno degli unici a creare sempre un dibattito.
"Solo le religioni scadenti si basano su misteri, proprio come i governi scadenti si basano sulla polizia segreta. Verità, bellezza e bontà non sono misteriose, sono i fatti più comuni, ovvi ed essenziali della vita, come la luce del sole, l'aria, il pane. Solo le persone con il cervello confuso da un'educazione costosa pensano che verità, bellezza e bontà siano rare proprietà private. La natura è più generosa. L'universo non ci nega nulla di essenziale, ci regala tutto. Dio è l'universo più la mente. Chi dice che Dio o l'universo o la natura sono misteriosi fa come chi definisce queste cose gelose o arrabbiate. Tradisce soltanto lo stato solitario e confuso della propria mente." Bella Baxter, Povere creature! di Alasdair Gray
Povere creature!: la scoperta del mondo è una danza in capitoli.
Lanthimos è ben rappresentato, nella sua delirante essenza, dai balli che mette in scena in quasi ogni suo film. Arriva sempre, nei suoi lavori, il momento in cui assistiamo alla danza di alcuni protagonisti, ed è un momento sottilmente disturbante nonché sinistramente esilarante. D'altronde l'umorismo nero è la vera caratteristica peculiare del regista di Dogtooth e The Lobster. Le scene di ballo - in un inquietante salotto, nel bosco, al palazzo della corte reale, su una nave - sono il perfetto emblema di un mondo la cui direzione naturale è stata in qualche modo deviata, fino a diventare un mondo spesso senza senso, o in cui il senso è smarrito. Ma che cela una vitalità tenuta a freno e per questo desiderosa di esplodere come un vulcano attivo. Esattamente come la sessualità.
E difatti Lanthimos ha sempre rappresentato un erotismo represso ma pronto a incendiare le viscere, soprattutto quando a lungo trattenuto. Si pensi alla significativa scena di The Lobster che vede Colin Farrell e Rachel Weisz quasi divorarsi in un bacio appassionato, all'interno di un contesto distopico che obbliga all'accoppiamento da una parte e dall'altra, per ribellione, vieta l'amore. Lanthimos è il più acuto analista degli estremi e delle assurdità umane, e mette tutto questo in scena con lo strumento potentissimo - e da sempre avversato dal potere - della satira.
Ma la satira, quella vera, è per pochi. Senza mezzi termini, Lanthimos è il più grande autore satirico del cinema contemporaneo, laddove in passato il più grande è stato uno dei suoi maestri, ovvero Stanley Kubrick. E la sua satira coglie in profondità tutti gli aspetti della società umana, il cui impeto è racchiuso entro le possibilità della carne, gli impulsi, le passioni e i desideri, che per l'appunto non possono essere frenati dal controllo, che l'uomo si è illuso di compiere attraverso il linguaggio, la religione e la cultura.
Il sesso è una forza primigenia, che da Dogtooth in poi, d'altronde, è sempre stato al centro del discorso nel cinema di Lanthimos. Sesso meccanico e disumanizzato, talvolta quasi imposto, oppure strumento antichissimo di potere e scalata sociale, ma anche e soprattutto, ed è il caso di Poor Things, di scoperta e liberazione.
Le scene di sesso, qui, sono abbondanti e ripetute, ma non indugiate o voyeuristiche alla stregua di un Kechiche (Por Things è comunque un film manistream). Piuttosto, i furiosi sobbalzi di Bella danno il senso di un fiume impetuoso, di una sorgente traboccante di una irrefrenabile necessità di esplorazione del mondo e del piacere della vita. Di sperimentazione.
Lanthimos osserva questo dal suo tipico grandangolo, che mostra un'umanità deforme e deformata, eppure colta nella sua forma più pura e nelle varie sfaccettature della sua natura, solo apparentemente opposte, in realtà proprie della complessità che tutto pervade: l'uno e il suo opposto uguale e contrario. L'empatia e la crudeltà, l'ingenua ma encomiabile voglia di migliorare il mondo e la disillusione, l'affetto disinteressato e la possessività, l'amore e il nichilismo. Tutte facce di una medesima medaglia chiamata esperienza umana.
Strepitosa Emma Stone, solo lei poteva interpretare Bella Baxter, povera e meravigliosa creatura, che viene riportata alla vita dopo essersene volontariamente privata, e che (ri)scopre pian piano piaceri, orrori e contraddizioni di questo mondo, e con esse il potere senza limite della sessualità, che resta l'unica vera via di fuga. E il filo rosso che lega ogni individuo. L'unico, infatti, a non essere interessato sessualmente a Bella è Godwin, detto God, Dio, padre, creatore e scienziato, privato degli organi genitali dalle sperimentazioni che il padre ha compiuto nel nome del progresso.
Non meno importante, ovviamente, anzi centrale assieme alla riflessione sulla sessualità, è quella sul ruolo della donna nella società, con una prospettiva di emancipazione e indipendenza in linea con lo spirito del tempo - e conseguentemente dell'arte - che viviamo. In quest'epoca di ridefinizione dei ruoli di genere.
In Poor Things convivono inevitabili suggestioni e rimandi a svariate altre opere: da Frankenstein, ovviamente, a Dogtooth nella (sopra accennata) riflessione sul linguaggio verbale destrutturato e in contrapposizione con quello invece universale del corpo, Bella di giorno nelle scene parigine - Bunuel, oltre a Kubrick, da sempre uno dei grandi punti di riferimento di Lanthimos -, ma anche un titolo meno scontato come L'enigma di Kaspar Hauser: Bella, essendo cerebralmente una bambina, si approccia alla vita con sguardo puro e inconsapevole degli orrori della civiltà, come il giovane Kaspar portato al cinema da Herzog e Bruno S, cogliendo così la grottesca follia e le relative nevrosi della società borghese. Che dissacra anche con l'uso di una semplice quanto sferzante battuta/osservazione.
Come infatti dice Bella nella citazione che ho riportato inizialmente, purtroppo non inserita nel film, l'universo di regala tutto. A renderlo misterioso e grottesco è soltanto l'uomo attraverso le sue assurde convenzioni e limitazioni sociali di una borghesia nemmeno dotata di un fascino discreto.
È un mondo folle, bestiale, di abiezioni, ingiustizie e diseguaglianze, così come di intensi godimenti. Ma nel bene così come nel male, è comunque l'unico che abbiamo. Noi povere creature, strappate dal pacifico buio della non esistenza per essere catapultati in questo universo del caos. Che l'uomo ha tentato di regolare attraverso le convenzioni di cui sopra, inutilmente.
Ma a parte tutto, Poor Things è un trionfo di stile, una gioia per gli occhi, tale è la ricchezza di virtuosismi visivi e la varietà. Il film più ambizioso - il che non significa migliore, è giusto specificarlo - e ammaliante di Lanthimos.
Viva Lanthimos e il suo cinema di liberazione. Anche se oggi è meno disturbante e, in un certo senso, più leggero rispetto al passato, e questa svolta, se così si può chiamare, era stata già evidente ne La Favorita. Ma anche questo è segno di grandezza: sono pochi i registi che, anche nel momento in cui legittimamente puntano a un pubblico più ampio, restano a livelli altissimi senza compromettere nulla della propria arte.
Sono, pertanto, fermamente persuaso che tra qualche decennio il regista greco sarà ricordato come uno dei pilastri del cinema di queste prime decadi del nuovo millennio. E Poor Things non può che confermare questa mia annosa convinzione, pur senza magari ritenerlo il suo miglior film in assoluto.
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