Il medico ebreo Ludwik Zamenhof doveva già sapere, nel momento della pubblicazione di "Internacia Lingvo", il suo primo volume dedicato all'Esperanto, che i suoi ambiziosi progetti sarebbero stati difficilmente realizzabili. È la fine dell'ottocento, e nella complessa scena dell'impero coloniale russo, Zamenhof si concede il lusso di "sperare" ("Doktoro Esperanto" era uno degli pseudonimi con cui si firmava in qualità di medico oculista) nel grande progetto di una lingua internazionale in grado di permettere a tutti gli ebrei di scambiare impressioni senza vincoli naturali né territoriali. Un progetto ambizioso, carico di una speranza che sarebbe stata minimamente ripagata nelle decadi a venire: oggi l'Esperanto rimane perlopiù una lingua rara e secondaria nei casi in cui è parlata, ma ciò non toglie che sia ancora viva e capace di scuotere la lastra polverosa sollevata dallo scorrere del tempo. Ebbene, in fondo, a conti fatti Zamenhof ha fatto tutto quello che ha potuto. Il suo problema, come suggerirebbe una recente pubblicità di telefonia, è stato fondamentalmente la mancanza degli attuali mezzi di comunicazione. In molti nel leggere queste parole penseranno di certo alla televisione, alle radio, ad internet, e se da un lato sono di sicuro questi i mezzi odierni di comunicazione tout court, dall'altro è pur innegabile che ormai da anni è riservata una grande forza di penetrazione nel collettivo al più tradizionale e noto dei mezzi di "persuasione", a quel tramite che sin dall'antichità greca chiamiamo semplicemente "musica".

E già, la musica. Il messaggio globale che Zamenhof si sarebbe aspettato di vedere trasmesso da parte a parte non poteva che avvenire attraverso la musica, attraverso un linguaggio parlato edulcorato dalla melodia, scevro da stucchevoli e indigeribili volumi di didattica: la musica nuova chiave di penetrazione dell'Esperanto. Praticamente un secolo dopo un senegalese poco più che trentenne avrebbe dato vita al magnifico progetto del medico russo, un giovane africano nativo di Dakar che grazie alle collaborazioni con illustri interpreti contemporanei, avrebbe tradotto in armonia il linguaggio universale della musica, un piccolo grande eroe dei nostri tempi che si fa conoscere col nome di Youssou N'Dour.

Il nostro, dopo aver iniziato con una gavetta squisitamente etnica, viene folgorato dall'incontro con l'ex-Genesis Peter Gabriel nel 1986, quando, sbrigata la piacevole pratica dei quel piccolo capolavoro che è "Immigrés", decide di rielaborare gli schemi dello "mbalax" senegalese attraverso i moduli della tradizione musicale europea: il linguaggio della "World Music", già in embrione nelle mani di un camaleontico Gabriel diventa realtà attraverso il cristallino canto in lingua madre e inglese di Youssou, che attraverso "The Lion" del 1989, testimonia la svolta di un mondo che vuole finalmente abbattere le barriere dell'incomunicabilità: la deframmentazione dei ghiacci della Guerra Fredda ne è sintomo, la caduta del Muro ne è prova. La gente inizia a canticchiare quel motivetto tanto accattivante di "The Lion", si innamora delle meditazioni più autoctone di "Macoy", riascolta con piacere le melodie ondulate di "Shakin'The Tree": l'Esperanto è musica, è potenza in atto. Su tutto e su tutti un intelligente utilizzo dell'inglese, linguaggio universale come nella conversazione, così nella musica; sarà questo il segno che distinguerà Youssou dal suo grande "compagno d'armi" Khaled, grande interprete del rai algerino: quest'ultimo, pur confezionando un prodotto musicale per certi versi più maturo del senegalese, verrà in un certo senso limitato in qualche circostanza dall'uso della lingua francese. Il grande boom dell''89 vede il suo naturale prosieguo in un lavoro ancora più convincente, il caustico "Set" del 1990, dove un infastidito Youssou, ancora una volta in lingua inglese, si rivolge alle multinazionali euramericane denunciando:

 


"Rich countries make toxic waste
Why should they send it to me?
Poor countries know toxic waste
Why should they accept it?"


 

con l'effetto di sensibilizzare non i soli africani ai mai troppo noti problemi del Terzo Mondo.

Il successo del piccolo senegalese d'ora in poi crescerà di anno in anno, di lavoro in lavoro, passando dal celebre duetto con Neneh Cherry di "7 Seconds" del 1994 ai lavori più commerciali della seconda metà degli anni '90, dalle collaborazioni con Sting e Gabriel di "Joko" ai meritati riconoscimenti dell'americanissimo Grammy Award del 2005 grazie al recente lavoro di "Egypt".

Vogliate omaggiare con un piccolo ascolto, magari di questo "The Best Of" contentente il meglio della trilogia "Immigrés-The Lion-Set", la grande forza di un eroe dei nostri giorni, il piccolo grande esecutore dell'esperanto musicale di Ludwik Zamenhof.

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