Parafrasando un film italiano del 1992..."Volevamo essere i Black Sabbath".

Magari è proprio quello che pensavano Keith Bonsor e i suoi amici quando cominciarono  a dare vita al loro progetto heavy blues corrotto da tinte dark. Bonsor non era un fesso qualunque e, oltre ad  essere un valido polistrumentista,  aveva anni di esperienza dietro al banco del mixer cosicché quando nel 1968 si tirò dietro l'amico batterista Pete Brewer  assieme al  chitarrista John Truba e il bassista Barry Skeels, entrambi  reclutati per corrispondenza, già era in grado di proporre uno show multimediale.  Giochi di luci ed ombre, immagini di riti sacrificali, invocazioni al maligno tra fumo, puzza  di zolfo ed  esplosione di chitarra non voluta! Diciamo che svalvolati del genere non erano visti di buon occhio per il messaggio satanico subliminale ed avevano difficoltà a trovare etichette disposte ad investire su di loro, pertanto restavano per anni nel limbo fumoso dei live show senza trovare lo sbocco discografico ...almeno fino a quando il successo dei Black Sabbath sdoganò il degenere ossianico. Accasati con la Nephenta (che aveva tra le sue fila i folk Dulcimer) e dopo un disco omonimo nel 1971, mefistofelicamente sospeso tra la pesantezza hard blues e la lievità indotta dall'acido psichedelico con spruzzate di folk a' la Traffic, l'entità Zior vira decisamente verso l'heavy sabbatiano con il successivo "Every Inch a Man".

 Ma badate bene che, rispetto alla semplice presa diretta del riff iommiano, Bonsor scorazza per il disco con effetti devastanti: bagliori fuzz, wahawah e tastiere distorte. Un esempio lampante è l'opener "Entrance of the Devil"con quelle grida oscene e risate teatrali  ad abbellire l'assatanato lavoro degli strumenti. La immagino come cavallo di battaglia nell'atmosfera malsana delle loro esibizioni live, tra esplosioni sulfuree e lampi.  E non c'è niente di più adatto dell'hard blues psicotico di " The Chicago Spline" per continuare senza cali di tensione:  pensate al riff di apertura di "Born to be wild"  degli Steppenwolf piegato alla volontà non più della strada ma del Diavolo e ne avrete un idea. L'origine blues degli Zior è evidente nel robusto tema di "Evolution" con la voce di Bonsor più orca del solito e gli altri ad abbaiare il coro blasfemo evolution...evolution...evolution!!!  Mentre l'ascolto di una devastazione immersa nell'acido psichedelico come "Angel of the Highway" mi fa venire in mente un'altro grande personaggio luciferino come Brian Kild, che pure era morbosamente attratto dagli incidenti autostradali.

  Altrove gli Zior dimostrano (come del resto nel primo album) di essere in grado di scrivere singoli zeppeliniani da classifica ("Strange Kind of Magic"), stupende ballate folksy senza tempo ("Time is the Reason"), bluesoni impuri come "Cat's eye" e "She'll take you down". Ma anche di poter dare senza ansia alcuna un trattamento progressive alle composizioni ("Suspended Animation") oppure di rivestirle di echi doorsiani (!) come quando Morrison recita sulle tastiere di Manzanek (la title track).

 Non so se gli Zior volevano davvero essere i Black Sabbath ma forse avrete capito che il loro approccio alla musica rock, pur partendo dalle frenesie gotico dark di Osbourne e compagnia, è molto più variegato ma meno omogeneo ed incisivo. Il Sabba Nero nella sua monoliticità ha inventato un genere copiato da migliaia di gruppi ed è giusto che Tony Iommi sia ancora sul palco a lanciare il riffone e Ozzy a magnarsi i pipistrelli. Non è invece un caso che i quattro Zior, dopo aver inciso un altro buon album sotto il  nome di Monument, abbiano pensato di dedicarsi alla vendita di strumenti musicali (Brewer) o all'artigianato hippie (Skeels). Il solo Bonsor, con la sua sapienza con i nastri e marchingegni vari, è rimasto nell'ambiente come tecnico del suono e produttore (vedasi l'etichetta 53rd & 3rd Records).

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