Nel comporre la mia modesta recensione sono cosciente di espormi alle atroci critiche dell’uditorio a cui perciò chiederò un atto di clemenza e un piccolo impegno nel commentare, anche con loro sommo sforzo, in maniera comunque costruttiva l’opera in questione.

Zucchero è sempre una tematica ostica poiché le competenze e le capacità artistiche dell’individuo sono commiste ad altre, per lo più fuorvianti, caratteristiche accessorie e di varia natura. Se fossi tra i più affezionati apostoli di Adelmo Fornaciari, non potrei certo asserire che “Bluesugar” sia la migliore opera proveniente da terra emiliana. Quest’album rappresenta, infatti, una tappa dichiaratamente sperimentale, una tentata deriva Rock, una felice deviazione nella fin troppo lineare carriera di Zucchero, non sempre riconosciuta da coloro che sono più vicini al cantautore. Sin dal primo approccio, questo album serba in sé alcune sorprese, alcuni elementi innovativi che allontanano l’opera dalle precedenti e ne fanno un cammeo di discreto interesse. Secondo il parere modesto di chi vi scrive, il vero, piccolo tesoro racchiuso in quest’album sono i testi, che risultano più scarni e fascinosi, la poesia bucolica di Zucchero si fa meno agreste, più rarefatta, ma senza rinunciare i suoi tratti marcatamente passionali e sanguigni, in alcuni casi violenti.

Scorrendo con il dito i testi riportati sul libricino si notano alcuni stralci di un piglio quasi letterario, più elegante e compito rispetto ad altre e precedenti affermazioni, testi scritti con l’attitudine ad una maggiore sintesi e, conseguentemente, ad un più ampio spettro evocativo. La mitezza delle parole, tiepide ma non più calde, e la sopraccitata capacità di evocazione, fanno di "Bluesugar" un esercizio di buono stile, il cui materiale di partenza è un italiano frugale ma elegante che valorizza anche laddove la nota risulta melassa e un poco cadente. Le sonorità salpano verso lidi più nordici, è avvertibile una chiara matrice anglosassone dietro ad ogni brano ed i più attenti critici e detrattori non mancheranno di sottolineare le consuete verosimiglianze con alcuni altri brani provenienti dall’isola britannica e dall’ultimo vivaio scandinavo. Sonorità, quindi, più fredde e austere, che senza tratti definiti mischiano brit-pop, rock, per certi versi anche delle contaminazioni elettroniche sbalorditive nel contesto in cui si collocano, e accompagnano Zucchero nel cammino di “intiepidimento” della propria opera. Vi sono piccoli esperimenti in un continuum che va dalla arcadica “Blu” sino alla techno “(Temporaneamente) Per sempre tuo”, passando per una poesia dell’amore distrutto come “Dopo di noi” o una lettera in forma canzone come “Eccetera, eccetera” . Esperimento ambizioso e degno di nota, anche se riuscito solo in parte, è la onirica “Karma, stai calma”, sogno visionario, notturno e metropolitano, che vede il debutto alla voce di Irene Fornaciari. E’ sempre il materiale umano a dare forma alla canzone di Zucchero, l’esperienza vissuta e così anche il paesaggio. Zucchero nei momenti di maggiore lucidità ed ispirazione è stato portatore della canzone di paesaggio che pur in Italia negli ultimi tempi non ha goduto di molti seguaci e sostenitori. Le note di Zucchero si sono legate inscindibilmente a dei tratti di paesaggio, un paesaggio non per forza geografico, ma percepito, ideale e idealizzato, quella “Lunisiana” da lui colorata, ponte ideale tra la Lunigiana, le terre natie in cui Zucchero fa stanza e la vagheggiata Louisiana d’oltremare. Il disco si chiude con “I tempi cambieranno”, l’amicizia trattata con quel filo di retorica che permette alla canzone di non essere effetto del momento ma di iscriversi tra le canzoni al di fuori di una data collocazione temporale.

Il titolo di quest’ultimo brano porta in sé qualcosa di profetico, infatti Zucchero dopo “Bluesugar” abbandona questa felice strada di morigerata sperimentazione tornando all’ovile, alle certezze, ed è triste riportarlo, ai facili quattrini. Il disco insomma è qualcosa di buono, non di imperdibile, non esattamente cantautoriale, ma di un certo riguardo nel panorama italiano della musica leggera. Si aprirà nel suo coinvolgente trasporto solo a chi serba in sé ancora un poco di quella capacità di ingenuo abbandono nella musica che certi istrici, sui sentieri delle note, hanno perso da tempo, rinunciando purtroppo ad una grossa fetta della torta.

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