Dopo la precedente prova, il disco "Live", il gruppo partenopeo guidato da Francesco Di Bella da alle stampe il proprio capolavoro, Metaversus, ispirato alla cibernetica e al libro "Snow Crash". Prima di entrare nel vivo della recensione, mi sembra giusto spendere qualche parola sul libro precedentemente citato. "Snow Crash" è un romanzo di Neal Stephenson, ambientato in America nel ventesimo secolo, dove le autorità statali hanno dato il via libera alla diffusione di grosse società di franchising dando vita a un clima anarco-capitalista. Intorno a tutto questo esiste il Metaverso, realtà virtuale 3D condivisa sulla rete mondiale a fibre ottiche, alla quale è possibile accedere anche da terminali pubblici e dove si viene rappresentati in tre dimensioni dal proprio avatar. I vari individui in questo universo parallelo possono soddisfare ogni loro desiderio.

Il disco, all'inizio si rimane spiazzati dal suond, l'impiato dub degli esordi lascia il posto alle melodie di chitarra, si respira una nuova aria e i 24 Grana ci porgono la mano per accompagnarci in questo viaggio, "Nel Metaverso", una chitarra elettrica ci fa traino tra il mondo umano e la realtà virtuale, si avverte il bisogno di rimanere in questa nuova realtà ("fosse pe'mme nnun turnasse maje cchiù"), appena arrivati nel Metaverso non si ha il bisogno di rappresentare nulla ("Rappresento") e lo si fa nel modo più duro ("Niente da dire su ciò che rappresento"), episodio del disco caratterizzato da sonorità crossover.  "Vesto sempre uguale", caratterizzato da un ritmo frizzante e da un ritornello punk, uno degli episodi più piacevoli del disco, gli individui che si inoltrano nel Metaverso posso far ciò che più gli pare senza dover cambiare personalità, anche se questo gli porterà solitudine ("Nun me movo mai") e si inizia ad avvertire una sorta di impotenza al proprio individualismo ("La pena"), la trama sonora di quest'ultima dà una forte atmosfera di malinconia, ci stiamo perdendo in un universo che non ci appartiene, cerchiamo la porta di uscita ma ancora tanto ci aspetta. Ci aspettano ora le ultime 5 tracce del disco, le prime 5 ci hanno dato il benvenuto al Metaverso, le restanti rappresenteranno un lungo e sofferto cammino interiore. "La costanza" e "Le abitudini" rappresentano la spirale che ci porterà via da qui, perfette trame sonore, ottime tastiere che si intrecciano alla perfezione con la chitarra e al preciso drumming, arriviamo ora a uno dei vertici del disco, "Resto acciso", inizia col suo ritmo rallentano di piano e chitarre fino ad esplodere nel ritornello, amare e dure parole ("nun me moprta e capì, si veco sulo e serpienti, je parlo e tu nun mi siente maje...", ma la vera amarezza si riscontra in "Epitath", si riscontra l'illusione ("Aje perso tiemp a guardà 'e ccose dinto 'o bbene") e si finisce con la vera e propia pena ("stavota nun me 'mporta, si nun me truvvarrai é perché é fernuto lassandome chello ca tenevo m'aje dato tutto chello c'aje potuto"). La luce e l'armonia coi sensi si può trovare nell'ultima traccia, "Stai Mai Ccà", completamente diversa dal resto delle tracce, la dolcezza esiste, esiste qualcosa che ci fa alleviare il male e, come dice una frase della canzone "'a fantasia è nu cielo niro e ll'uocchie p'ò pittà".

Un raro, rarissimo esempio di ottima musica italiana curata nei minimi dettagli.

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