Come recensire un album quando hai passato giorni e giorni ad ascoltare il suddetto fino alla nausea, fino all'auto-esaltazione più estrema e assurda..? Quasi ti ringrazi da solo per aver ‘scoperto' l'opera in questione. E poi, come recensire un album quando la tua testa è ormai piena zeppa di informazioni acquisite, opinioni personali, suggerimenti immaginari da dispensare (sempre immaginariamente) al gruppo tal dei tali ed emozioni schifosamente soggettive e distruttive? Mah.. può essere un'operazione complessa e al contempo facile, se vogliamo. Poiché non voglio essere né complessa né facile percorrerò la strada diplomatica dell'obiettività più assoluta ..il che significa che camminerò su di un di un filo sottile per poi portare il discorso lì dove più m'aggrada fino a ‘cadere rovinosamente'.. e d'altronde va così quando hai dei gusti di cui dibattere..

Quindi, cosa dire dei 30 Seconds to Mars? In primis che il loro tardo arrivo nel nostro beneamato country la dice già lunga. I grandi successi pop non mancano di affligerci in una metaforica stereofonia. A lungo, ovunque e comunque. Ma per il rock le cose vanno un po' diversamente. Se un gruppo ottiene buoni riscontri in Europa.. beh, allora si può star certi che si è fatto largo a gomitate per un bel po' prima di emergere in questa triste valle. Così è stato per questa band, diciamo, emergente (eh si, perché se qui una band è emergente significa che in America è d'annata). Il primo album intitolato "30 Seconds to Mars" non era ‘arrivato' in Italia, in più sensi. Quindi c'è stato bisogno del secondo tentativo per poter rendersi conto che la miscela è giusta e può andare.

"A Beautiful Lie" è il disco da analizzare per mettere in luce le vere peculiarità e le potenzialità di questa band che di aspetti notevoli ne possiede un bel po'. Innanzitutto bisogna apporre quell'etichetta richiesta dal mondo della musica che è la cosiddetta ‘categoria a cui il disco appartiene'. E' limitativa come operazione ma, evitando cavilli inutili, questo è un Alternative Rock che sfocia in un puro Rock Melodico con i brani "Was It A Dream?", "The Story" e "A Modern Myth". Ponendo da parte il lato tecnico, che può interessare o meno l'ascoltatore, un punto di forza risiede nell'originalità delle melodie che si incastrano perfettamente alla voce del frontman Jared Leto. Azzardiamo anche, il maggior punto di forza. Al primo ascolto di "Attack", pezzo d'apertura, i più non si fermano. Vanno avanti e scoprono, piacevolmente, pezzi innovativi come "The Kill", "The Fantasy" o "From Yesterday", brano emblema di questo incastro, versatile e non forzato, di voce e musica. Sempre ai più non sfuggirà la grandezza di una voce calda, tagliente e capace di spezzare il cuore ("And I swear to God I found myself in the end") e poi di raggiungere tonalità insospettate e irruente che, diciamola, in un primo momento lasciano senza parole. Ma anche qui l'ovvietà, che risiede in una bella voce, passa in secondo piano: la vera grandezza di Jared Leto è la sua capacità interpretativa, apprezzabile solo dopo alcuni ascolti attenti dell'intero album. Tutti i brani hanno quelle resemblances di parole vere, parole immaginabili e collocabili in un discorso concreto, reale ("Cause it feel like we've never been alive inside"). E diciamo anche questa: la profondità è cosa rara oggigiorno nella musica e se per caso, ma proprio per caso, ti capita fra le mani un buon album, che non cambierà la storia della musica ma è di buona fattura e con qualche buon messaggio da lasciare, perché gettarlo lì, nel mare melmoso della musica odierna?

Personalmente però (ed ecco la ‘rovinosa caduta') il punto forte per cui propongo un serio ascolto dell'opera è questo: il livello testuale sorprendentemente buono, versatile per quanto riguarda esegesi personale e per scelta tematica. In parole povere testi per nulla triti e ritriti e aperti ad ogni tipo di riflessione, senza sbarre mentali predefinite. Quindi, mi piange il cuore, ma rinuncio alla track by track, per quanto interessante, per non lasciar posto alle mie elucubrazioni personali e influenzabili. Da notare la cover di "Hunter" (Bjork), scelta insolita per un disco di questo genere ma comprensibile in relazione ad un estro particolare e percepibile della band.

E il titolo? Ricorrono spesso le parole lie e believe.. "A Beautiful Lie" è forse una riflessione sulle contraddizioni della vita oppure..? Fate un po' voi.

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