<< Fanno rumore e basta. Il nulla >>, questo il lapidario giudizio del mio amico dopo l'ora abbondante di distorsioni lancinanti che gli A Place To Bury Strangers ci hanno vomitato addosso, facendoci friggere il cervello e mandare in corto circuito le sinapsi. Non è "semplice" rumore, tento invano di obiettare, già rassegnato ricordando le nostre interminabili scaramucce sull'argomento, e in particolare il modo in cui aveva liquidato i miei adorati My Bloody Valentine. Per lui, musicista di formazione punk, un pezzo indie deve avere innanzitutto un "delizioso rotornello" e una bella linea melodica. E qui la melodia c'è, a ben guardare, solo che nascosta sotto spessi strati di efferati effetti di chitarra, coperta (ma mai del tutto sepolta) da un "rumore controllato" che alle mie orecchie si fa esso stesso melodia. Cerco invano di spiegare al mio amico che la musica per me è come per lui con le donne: per piacermi deve scoparmi il cervello. E questo terzetto newyorkese il cervello lo scopa proprio bene, provocando(mi) ad ogni deflagrazione sonora improvvisi e violenti "orgasmi cerebrali".


A fine concerto, sotto lo sguardo di disapprovazione del mio sfortunato accompagnatore, compro pure il loro secondo e ultimo album (Mute, 2009), il cui nome, "Exploding Head" non potrebbe essere più azzeccato. Mentre lo ascolto penso che tutto sommato al mio amico potrebbe pure piacere: su disco i devastanti droni e le cascate di fuzz e di effetti del chitarrista Oliver Ackermann (uno specialista in materia, se è vero che produce pedali di propria invenzione tramite la ditta Death by Audio (!), che vanta clienti del calibro di Trent Reznor e Thurston Moore) non arrivano mai a coprire le linee vocali e le splendide melodie di stampo dark-wave, come invece spesso accade nelle esibizioni dal vivo.
I modelli, per chi non l'avesse capito, sono lì in bella evidenza: Jesus And Mary Chain e My Bloody Valentine su tutti, ma la materia è trattata con una personalità e padronanza che eleva il gruppo al di sopra della pedissequa imitazione.
La continua alternanza e sovrapposizione di melodie spiccatamente eighties e ganci pop da ko (come nello sferragliante singolo In Your Heart, o nella ballabile Keep Slipping Away) con muri di feedback e assalti sonori all'arma bianca (specialmente nell'orgia finale di I Lived My Life To Stand In The Shadow Of Your Heart) trova il suo trait d'union in un mood cupo e opprimente, un'atmosfera fosca e disturbante che accompagna e frastorna l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota.


Forse è solo rumore, ma per un amante incallito dello shoegaze e della psichedelia più stordente questo disco è una manna dal cielo, nonchè una delle migliori uscite dell'anno passato.


Vogliamo essere rumorosi, ma non ci interessa essere "i più rumorosi". Sul nostro primo disco avevano appiccicato questa descrizione per pubblicizzarlo, questa maledizione ci perseguiterà per sempre.  (Oliver Ackermann)

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