La strada dove “l'amore sa di cannella e tutto è ispirazione”.

La festa di giugno, con la statua del santo portata in alto mare e i vecchi in spiaggia a suonare la chitarra. E Zamacueca...

Che è a Zamacueca che si rivolge Chabuca...

Chabuca...“la fanciulla che vide la luce vicino al sole degli Incas e divenne sorella superba e orgogliosa del condor”. “Zamacueca, Zamacueca, la notte mi ha perso”, dice un suo vecchio blues.

Ma Chabuca è solo una delle protagoniste di questa storia. Ci sono anche Lucila e Susana, per dire, e in più c'è un poeta, uno di quelli che non sprecan parole.

L'inizio/inizio però è a New York e il magician, ovvero colui che da il la, è un bizzarro gentiluomo innamorato del ritmo: il suo nome è David Byrne.

Quel David Byrne? Si, quel David Byrne.che, al momento, è in scuffia per la musica latina e, tra le altre cose, sta prendendo lezioni di spagnolo.

Il suo insegnante, un cineasta argentino, un giorno gli mostra un piccolo film.

E in quel piccolo film si vede un giardino e, severo e dolcissimo, un volto antico. Le vesti sono morbide e fluenti e i piedi, i piedi sono scalzi.

Poi ecco la canzone...ed è una di quelle canzoni che c'è un prima e c'è un dopo...si intitola “Maria Lando” e a cantarla è una certa Susana Baca.

Pensate a una ballata quasi jazz o quasi creola, a un ritmo morbido e avvolgente, alla più luminosa delle malinconie, alla più sottile e dolce delle ipnosi.

Struggente e disperata, parte con una strana enfasi che, improvvisamente, si trasforma in rabbia. Con una voce che, sospesa tra ritmo e chitarre, tra autorevolezza folk e dolce languore del sud, fa venire i brividi lungo la schiena.

Poi ci sono quelle parole di fuoco. Che la canzone racconta lo scorrere di una giornata: l'alba (la madrugada) il mezzogiorno (el mediodia) l'arrivo della notte (la noche) e lo fa con una specie di falsa poesia.

Perché “para Maria no hay madrugada, para Maria no hay mediodia, para Maria ninguna luna alza su copa roja sobre las aguas”.

“Maria no tiene tiempo de alzar los ojos”, “Maria solo trabaja”

E non c'è bisogno di alcuna traduzione, credo.

Ma, oltre a tutto questo, la canzone porta alla luce un suono inaudito, quello del Perù Negro, bizzarro miscuglio stilistico delle diverse etnie africane giunte in Perù all'inizio dello schiavismo. Suono che poi si è "imbastardito" subendo l'influuenza della musica locale e di quella dei conquistatori spagnoli.

Il bizzarro gentiluomo ne è talmente conquistato che subito si mette in contatto con la Baca, scoprendo in lei una donna straordinaria, anzi straordinaria è dir poco..

Che dire infatti di chi ha passato sette anni a rintracciare vecchi musicisti nei luoghi più sperduti, finendo poi per pubblicare, oltre ai dischi, anche un volume di 150 pagine su una cultura negletta persino nel suo stesso paese.

Nessuno infatti trasmetteva quelle canzoni e bastava uscire dal quartiere per far si che del Perù Negro non vi fosse più traccia.

“Maria Lando” però è una canzone di Chabuca, una delle più di trecento che ha scritto, e le parole sono del poeta comunista Cesar Calvo.

E Chabuca è la grande madre della canzone peruviana. Una dea bianca che si è innamorata dei suoni del Perù Negro, scrivendo canzoni come la bellissima “Una larga noche”...

“Una larga noche”, tessuta con lo stesso filo prezioso di “Maria Lando”, racconta la lunga notte dell'anima, la stella del mattino che sbatte contro una finestra chiusa. La voce, profumata e carica d'ombre, raggiunge profondità inaudite

E, a venirmi in mente, son le parole di Paolo Conte sulla milonga: “la sua origine d'Africa, la sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera, una verde frontiera...”

Ecco, “Maria Lando” e “Una larga noche” le trovate in questo “The soul of Black Perù”, antologia curata per Luaka bop proprio da David Byrne, analoga ad altre sulla musica brasiliana.

Però, a testimonianza dello shock/illuminazione per quel piccolo film, Byrne incide una sua personalissima versione di “Maria Lando”, traccia quattordici dell'album....

Del resto “Maria Lando” è una delle canzoni più belle di tutti i tempi.

Il disco offre altre perle, ora della stessa eleganza, ora più torride e sanguigne, tra queste ultime, impossibile non citare l'orgoglio nero di “Senor yo no soy aqui” di Manuel Donayre, “Samba malato” e “Toro mata” di Lucila Campos, “Encendiate candela” di Roberto Rivas.

Meriterebbero più di un semplice accenno, ma mi sono dilungato un po' troppo...

Trallallà

PS... se anche non sopportate la musica sudamericana, un ascolto almeno a “Maria Lando” e a “Una larga noche” magari dateglielo lo stesso.

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