Sono nato, cresciuto e vivo in Valtiberina. È un buco di valle nel nord estremo dell'Umbria, incuneata fra Toscana e Marche: sono 5/6 comuni piazzati fra campi di tabacco i cui pesticidi causano da sempre tonnellate di tumori. Grazie anche al poco iodio nell'aria c'è un numero di matti-del-villaggio pro capite quadruplo rispetto alla media, tutto materiale narrativo sopraffino. Facciamo, di tanto in tanto, una comparsa in cronaca nera. Come tante altre province, è un bel posto tranquillo. Troppo tranquillo: cercare stimoli (contro)culturali può essere molto frustrante. È servita malissimo (l'unico mezzo per raggiungerla è quel crimine contro l'umanità della superstrada E45), e la sua natura di valle la rende assai chiusa mentalmente. La maggior parte della gente, a prescindere da sesso età ed etnia, divide il proprio orizzonte fra fabbrica e bar senza spazio per altro, e pure chi ha velleità intellettuali è refrattario a qualsiasi interesse per l'underground.
Il vantaggio tattico del vivere in Valtiberina, da questo punto di vista, è avere l'Italian Party sotto casa. L'Italian Party è il festival annuale di To Lose La Track, etichetta di Umbertide gestita da Luca Benni e specializzata in punk, post-hardcore ed emo vecchia scuola: è l'evento più bello dell'anno ed il giorno in cui cade è sempre il migliore dell'anno. Sulla carta non è diverso da altri festivalini di nicchia: ci sono i gruppi, i banchini col merch e i dischi, gli stand per bere e mangiare. A fare la differenza sono tre cose: l'organizzazione impeccabile, l'ingresso gratuito - particolare non irrilevante per una giornata con 14 band fortissime - e, soprattutto, l'atmosfera. Sono SEMPRE, TUTTI, PRESI BENISSIMO. TUTTI. I musicisti, il pubblico, lo staff, tutti felicissimi. Partecipo dal 2011 e non ho mai visto una rissa, una litigata, ma neanche mai uno preso male per i cazzi suoi in un angolo, niente: tutti gasatissimi, sapendo di star partecipando ad un miracolo che si rinnova clamorosamente ogni anno. Le band sul palco spingono come se non ci fosse un domani, sotto la gente poga come se il domani ci fosse e fosse magnifico. Per quanto mi riguarda è l'esatta rappresentazione di come dev'essere un concerto e di cosa rappresenta la musica. È di grandissima lunga il festival migliore che abbia mai visto, ed ogni volta migliora, da più di due decenni. Quest'anno non ha fatto eccezione.
Spostatosi, per motivi logistici, dalla natia Umbertide alla vicina e ridente Montone, Italian Party '24 apre le danze il 27 luglio alle 17. Come da tradizione, si divide fra due palchi: uno in un campetto da basket (molto underground, i gruppi suonavano sotto il canestro e speravo che qualcuno replicasse la famosa foto di Guy Picciotto: se è successo non l'ho visto) e l'altro poco sopra, dentro la suggestiva Rocca di Braccio. Non voglio fare un report pedante e sterile: i musicisti sono stati tutti squisiti. Non c'è spazio per i riempitivi in questi festival, chi sta sul palco ci sta per un motivo valido e si impegna al massimo. Il pubblico lo sa bene, accorre in massa fin dall'inizio nonostante il caldo mefistofelico e partecipa entusiasta a tutti i concerti.
Era attesissimo il ritorno degli eroici Disquieted By dopo un lungo stop, e non c'era speranza che deludessero: hanno menato tutti quanti alla grande, alla pari dei Riviera, che tornano per il secondo anno di fila per lanciare il recentissimo lavoro Sempre. Consigliatissimo ovviamente, punk n' roll emotivo tirato da pazzi come i loro live, dove non risparmiano neanche un millilitro di sudore. Nuovo album da presentare pure per Girless, che si presenta in full band per garantire un adeguato impatto sonoro, e nuovo singolo per i matematici Stegosauro, divertenti e fracassoni come sempre. Italian Party è così, è un po' il Wrestlemania dell'indie emo italiano, il Sanremo di To Lose La Track: serve anche a fare un recap dell'anno passato e a proiettarsi nel prossimo. Cè sempre qualcuno che ha un disco fuori da rodare, e pure se l'ha pubblicato il giorno prima sta' sicuro che il pubblico già lo conosce a memoria. È tutto bellissimo, una presa bene totale, appunto. Massilanciasassi è stato adorabile, uno dei pochi eredi plausibili dei Camillas che conosco; lo stregone Johnny Mox, altro grande habituée del festival, ha fatto la sua solita magia, aiutato maggiormente dal fascino della Rocca nel pastello del tramonto; il supergruppo (non chiamatelo supergruppo!) Liquami ha dato una lezione su come si tiene un palco; Vilma, Real Terms, Shizune, tutti gli altri, tutti sugli scudi, tutti entusiasti ed entusiasmanti, tutti a modo loro significativi. Alla fine della giornata arriva il piatto forte, il secondo ritorno epocale: i leggendari Raein vengono a devastarci l'anima, e tirano su un concerto pazzesco anche se funestati da continui cali di corrente. Vorrei dire "purtroppo", ma succede una cosa meravigliosa: ogni volta che a metà canzone salta l'impianto il batterista continua a pestare e il pubblico canta a squarciagola nonostante le chitarre spente ed il buio. Scusate la banalità, ma va detto: non importano i problemi tecnici, la musica sta qua nel cuore e la gente affollata davanti al palco è lì per urlare nella notte umbra quanto le canzoni dei Raein li abbia segnati dentro. Un finale perfetto e commovente, emblematico e potentissimo.
A metà giornata un mio amico mi ha detto basito, "Dovrebbero fare un monumento a Luca Benni, voglio dire guarda qua: chi altro potrebbe portare duemila persone da tutta Italia a Montone a fine luglio?". Sicuramente nessuno. Fatevi un favore e fate parte di quel pubblico stupendo, l'anno prossimo.
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