Il 2017 porta il ritorno degli Aborym con il loro settimo album: SHIFTING.negative.

Il gruppo capitanato da Fabban è sempre stato molto eclettico nella sua proposta musicale. Dai crudi esordi prettamente black metal, alle potenti ibridazioni elettroniche di quest’ultimo, fino a giungere alla schizofrenia avanguardistica di tre album molto differenti come Generator, Psychogrotesque e Dirty, in un percorso musicale che ha sempre coniugato innovazione stilistica e voglia di osare.

Il passato della band appartiene all’extreme metal più nero, più occulto, più brutale. Qui su SHIFTING.negative però, queste sonorità vengono quasi totalmente abbandonate; l’ennesima trasformazione degli Aborym è radicale: una nuova line-up, ma soprattutto un nuovo sound, un nuovo modo di trasmettere il proprio messaggio.

E se è probabile che questi cambiamenti provocheranno parecchi bruciori di stomaco ai fan più “metallari” della band, chi apprezza maggiormente il lato cangiante e mutevole della loro musica, ne sarà piacevolmente colpito.

A dispetto dell’alleggerimento generale della musica e del suo carattere catchy, è bene dire che SHIFTING.negative è, senza dubbio, il capitolo più sperimentale della saga Aborym, dai tempi di Fire Walk With Us e With No Human Intervention.

È vero, i ritmi sono sensibilmente meno forsennati rispetto a quei due pazzeschi ed allucinati monoliti targati rispettivamente 2001 e 2003, ma ciò che balza all’orecchio fin da subito, su questo nuovo album, è il suo vivido sotto-strato tecnologico. Un grigiore industriale martellante, ricco di suoni taglienti e partiture electro, con una produzione ed un lavoro strumentale dal risultato finale perfettamente organico. Perché a completare il lavoro offerto dall’elettronica, dai synth, dal digitale, ci pensano le guitars. Addio alle ultime scorie black metal… questi sono degli Aborym che abbracciano generi come il punk e l’hard rock, dove il furore chitarristico gioca con l’elettricità e viceversa, in un continuo scambio di assoli, blast beat e pulsazioni sintetiche dal sapore nucleare.

Ma la cosa che colpisce chi scrive, a prescindere dai notevoli cambi stilistici, è che gli Aborym posseggono ancora una particolare caratteristica. Un marchio di fabbrica, una qualità che si portano dietro dal lontano Kali-Yuga Bizarre e che, in un modo impressionante, persiste anche su SHIFTING.negative.

Se c’è qualcosa di unico che ogni album degli Aborym possiede, è quella strana aura negativa, un misto di ansia, paura e paranoia. Come se la loro musica non fosse altro che la colonna sonora, album dopo album, del futuro distopico di un mondo destinato a cadere a pezzi. Prendere “For a Better Past”, “Tragedies for Sale” o “Decadence in a Nutshell”, e soprattutto la bellissima “Precarious”, come esempio. Brividi già dai primi ascolti, in un crescendo sonico emotivo figlio delle macchine, ma ancora fortemente umano. Un industrial rock terribilmente energico, un sali e scendi ragionato di bordate metalliche, voci acide e isteriche, e pozzi neri di oscurità robotica, in cui l’artificiale si sostituisce al naturale e la melodia più pura viene irreversibilmente inquinata.

Numerosi gli ospiti e i collaboratori, come tradizione. Da Sin Quirin dei Ministry, a Davide Tiso dei compianti Ephel Duath, da Ricktor Ravensbrück degli Electric Hellfire Club, a Pier Marzano dei Koza Noztra, e tantissimi altri, e con la sapiente post-produzione di un mostro sacro come Guido Elmi a cesellare un nuovo, ottimo, lavoro per Fabban e soci. Un piccolo capolavoro di musica destabilizzante e multiforme, per una band che pur cambiando pelle, non ha perso un briciolo di aggressività e intenti unendo, ancora una volta, sperimentazione e intransigenza.

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