L'altro pomeriggio pioveva. Pioveva, come piove da dieci giorni e passa, di questo marzo pazzo e rompipalle, che non ci dà scampo, nè ci lascia liberi dal suo voler fare i cazzi propri. Mi ritrovo in casa da solo, senza niente da fare, con una mente che tendeva sempre più a perdersi nei meandri dell'ozio più estremo, quello proprio eccessivo, quel non far niente che ti fa sentire in colpa. Per evitare di cadere in questo labirinto emozionale, ho deciso di rispolvevare qualche mio vecchio cd, qualcuno fra i miei primi ascolti, quelli disinteressati, immaturi, quasi assenti, che inizialmente non interiorizzi come dovresti; ascolti pre-adolescenza, insomma. Così, la mia mente prima vogliosa di odiosa nullafacenza (di cui, ahimè, spesso cado vittima), ora si lascia velare dalla sete di ricordo, dal bisogno di nostalgia.

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Mentre intorno a me i miei amici si lasciavano abbindolare da odiosi rmx di Gabry Ponte (se ora penso che ha addirittura remixato "Geordie", mi viene voglia di pescarlo e fargli del male fisico!), musica pop del livello più infimo e smielati dispensatori di "amore" in tutte le salse, io scoprivo il gruppo elettrico, le scariche umane: gli AC/DC. Non è di certo, come è risaputo, un gruppo noto per aver spaziato fra più generi disparati, nè un gruppo troppo dedito alle sperimentazioni, ma nonostante ciò, a differenza di molti, nei loro vari cd's li ho sempre trovati diversamente uguali ("Alcuni dicono che abbiamo tredici album e che sembrano tutti uguali. Non è vero. Abbiamo quattordici album che sembrano tutti uguali" Angus Joung). Certo, sarebbe esagerato dire che fra un cd e un altro ci sono differenze grandi e visibili, o cambi improvvisi di rotta, ma nonostante ciò il loro unico stile, a me, a volte, allieta. Il loro rock è rudimentale, nudo, preso dalla radice più profonda e sporca del blues, quello fatte di scale e di storie: è un pennare e strappare di suoni metallici, elettrici, carichi e rock. Rock, nella piena e originaria accezione del termine, privo di contaminazioni, di siglette complementari: rock, e basta. E al mio orecchio, devo dire, dopo ascolti che variano da Queen a Pink Floyd, da De Andrè a Janis Joplin, da Robert Johnson a Genesis e tanto altro, fa piacere ogni tanto immergersi in un caldo e carico stile di semplicità ed immediatezza, banale forse dopo ripetuti ascolti consecutivi, ma fortissimo nell'istante. Gli AC/DC vanno ascoltati a periodi, dopo lunghe pause, solo quando si ha davvero desiderio di semplicità, di una chitarra nuda ma forte, di un amplificatore spoglio, di una voce roca, arrabbiata, un graffio di corde vocali (io preferisco Bon Scott, tra parentesi).

Un pò immaturo, ma pieno completamente di questi fattori è il loro album d'esordio "High Voltage", alta tensione (di cui possiedo la versione internaziole, diversa da quella che pubblicarono nella sola Australia). Quest'album è il gioco, il disimpegno, sesso droga e tanto rock'n'roll, con discese in un blues elettrico e risalite di un heavy ancora neonato fra le braccia di papà Rock. Di certo, come tutti i dischi d'esordio, non è perfetto nè troppo lineare, ma presenta comunque già tutte quelle che saranno le caratteristiche di questo gruppo in avanti, anche dopo che Bon Scott decise di entrare fra le vittime di quel rock che gli girava in gola e che lì decise di rimanere, per sempre. Il titolo del disco rispecchia benissimo il procedere di un disco che sembra uscire dalle prese di corrente della stanza dove ti trovi, certamente non meglio di dischi successivi (vedi "Highway to hell"), ma già con quella giusta rabbia teatrale, una rabbia finta, la rabbia di ogni rocker puro, la rivoluzione, la voglia di fregarsene, così, per sfizio, per gioco, per rock!... Angus Young (che io trovo un ottimo chitarrista e frontman) è la vera mente di questo naked-rock: è lui che si lascia infilzare e shockare dall'alta tensione, e lui che, come caricato dall'elettricità, lascia che le mani vadano, pazze, sulla chitarra anch'essa nuda; nuda, come una donna che aspetta di essere toccata, su un letto, nuda. Angus è come un uomo assetato di sesso che si lancia su questa provocante donnaccia, con la differenza che lui non placa mai la sua sete di rock, e le carezze sulla sua Gibson, diventano schiaffi di rock, di cui la chitarra non muore, anzi.

Perchè, direte voi, ho scelto questo disco di certo non ottimo, quanto altri successivi???.... Perchè è immaturo, come mi sento immaturo io, ed è di un rock (lo ripeto di nuovo, fino alla nausea!) stupendamente vuoto di tutto, tranne che di energia, come mi sento io. E' un disco, che in questo periodo, mi rappresenta, è come se mi avesse cercato lui. Perchè quando ho avuto sete di ricordi, mi sono trovato avanti dischi ben più importante nella famosa (solo a me) storia del mio passato. Dischi che amo di più di questo, gruppi che amo di più di questo, emozioni più profonde, più solenni, più importanti. Eppure la scelta è ricaduta su questo, come se fossi stato risucchiato dentro l'alto voltaggio, nell'energia, nel desiderio di rock. Perchè alla fine, non voglio avere tempo solo per la profondità, per la solennità, per il valore alto e obbligato: ci sono momenti in cui mi sento anche io alla radice di me stesso, vuoto e allora soltanto il rock più semplice e fortemente immediato può riempire, con il disimpegno e il gioco, questo vuoto, e rimettermi sulle mie ossa, quando la mia mente, come ho detto, si vota al torpore.

E allora, che volete, mi sono buttato, lasciato prendere, shockare. E poi l'ho rimesso lì, dov'era, accanto agli altri di questo gruppo. Probabilmente ci rivederemo di nuovo, quando decideranno chiamarmi, quando sapranno che è il momento migliore.

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