Rolling home to good ol' Hamburg, rolling home across the sea - Achim Reichel's Retrospective - Capitolo I

Tempo di iniziare una bella monografia, una serie di recensioni dedicate a un grande personaggio che ho avuto la fortuna di conoscere poco tempo fà: Achim Reichel, che ho già introdotto su questi lidi qualche mese addietro, e per una presentazione generale Vi rimando appunto a quella recensione. Purtroppo sarà un viaggio incompleto, mancheranno molte tappe, ma l'obbiettivo è parlare di Achim Reichel, del suo stile, di cosa lo rende unico più che stilare un trattato enciclopedico. Per quanto mi riguarda in prima persona, il suo merito #1 è il seguente: trovare musica dal mood marinaresco/piratesco senza dovermi rivolgere al metal è stato un "capriccio" che mi sono portato dietro per anni, probabilmente è stato tale Gordon Lightfoot a mettermi questa pulce nell'orecchio, e grazie a lui l'ho finalmente soddisfatto.

Ma perchè questo signore è passato dall'avanguardia alla "retroguardia"? Una mezza ipotesi ce l'avrei: è originario di Amburgo, città anseatica, città di mare, quindi città di porto, quindi città di marinai... quindi città di pirati, almeno in altri tempi, e ovviamente crocevia di commerci e di culture. Quindi, perchè non sfruttare questo background e crearsi una dimensione propria? "Dat Shanty Alb'm" del 1976, titolo e copertina inequivocabili, rappresenta l'inizio di questo percorso, e definisce le fondamenta di uno stile personale su cui si modelleranno tutte le successive uscite dell'artista, fino appunto al recentissimo "Raureif". Diviso egualmente tra brani di produzione propria e tradizionali riarrangiati, "Dat Shanty Alb'm" ha un'ossatura classic-rock a base di chitarra elettrica e mostra già l'eclettismo, la cura dei dettagli e il carisma interpretativo che mi fanno amara così tanto Achim Reichel. L'artista amburghese si cimenta anche in quello che è probabilmente lo "sea shanthy" più celebre in assoluto, "Oh Shenandoah", nobilitandolo con un'interpretazione magistrale, dai toni lievemente crepuscolari, statuaria ma in maniera molto sobria, valorizzando la bellezza della melodia con ampi inserti strumentali. Posta alla fine dell'originale lato A dell'LP, "Oh Shenandoah" rappresenta un punto di riferimento in un album che generalmente viaggia a ritmi più upbeat, ad esempio quelli di un altro brano iconico come "Rolling Home", riletto in chiave molto groovy, quasi funk-rock o di "Die Duvel An Bord", vivace country-rockabilly con un bell'honky-tonk piano in evidenza.

Ma soprattutto si parla di ritmi folk, di melodie a base di alcol, popolaresche ed easy listening in maniera quasi sfacciata come nel caso di "Das Lied Von Der Hochseekuh", adorabile valzerino per banjo, piano e armonica e "Drunken Sailor", che non avrebbe affatto sfiguarto in "Rum, Sodomy & The Lash" dei Pogues, oppure un po' più ricercate come "Es Ging Langsam Vorang", bizzarra e intrigante nel suo alternare un riffing denso e pastoso, a'la Deep Purple, e intermezzi di synth dal tono pomposo di una marcetta militare. "Pest An Board" è l'episodio più scuro e più epico dell'album, una narrazione lenta e scandita su una base midtempo 70's rock che esalta le grandi qualità di storyteller dell'artista, accompagnato da cori che per l'occasione riecheggiano la lugubre solennità di un canto gregoriano; agli antipodi stilistici troviamo l'adorabile (e un po' gaio) easy-listening dal retrogusto vaudeville di "Johnny, Johnny" e "Hamborger Veermaster", altro grande caposaldo dell'album: una sgangherata linea di banjo, melodia anthemica e quella splendida voce baritonale che canta affiancata e seguita da cori maschili, a creare un effetto mantra-corale. Semplicissimo, puro, emozionante.

"Dat Shanty Alb'm" è l'inizio ideale per il percorso unico di questo artista carismatico e fascinoso, qui il mood generale è dominato da reminescenze yankee-pionieristiche, ma ci sono già vari spunti e idee diverse, e questo lo rende un'ascolto vivace in tutti i sensi; da lì a due anni il livello si alzerà con il meraviglioso e più sofisticato "Regenballade", ma ciò non toglie nulla alla bellezza "popolaresca" di questo "esordio", chiamiamolo così anche se in teoria non sarebbe corretto.

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