Andare con entusiasmo a presentare il nuovo materiale e trovarsi poi di fronte ad un bivio che vede da una parte la propria integrità d'artista e dall'altro una legittima speranza di riconoscimento, guadagni più cospicui e pubblicità fatta come si deve. Un bivio che a molti sembra ovvio, ma non a Aimee Mann. Alla fine dei '90, il suo nuovo disco venne respinto dalla sua casa discografica Interscope perché carente dell'ammiccamento pop necessario per funzionare nell'arena impietosa che è il mercato discografico attuale. A questo punto, la timida Aimee ha la "faccia tosta" di comprare i diritti delle sue canzoni, iniziare a farle conoscere dal vivo e venderle solo online.
Nel frattempo, Paul Thomas Anderson trova nelle canzoni di Aimee Mann ispirazione per il suo "Magnolia", film che avrà un enorme successo e la cui colonna sonora è costituita principalmente da canzoni della cantautrice americana. Era questa la spinta che serviva per rilanciare la carriera di Aimee Mann: pubblica in modo indipendente (SuperEgo Records) il materiale rifiutato dalla Interscope tempo addietro, assieme a nuovi pezzi che si sono aggiunti nel frattempo, ed è così che vede finalmente la luce "Bachelor No. 2 (Or, the last remains of the dodo)". Il disco, come uno schiaffo alla Interscope, diventa l'album di maggior successo di Aimee Mann, nonché quello che ad oggi si gioca con l'ottimo "Lost In Space" il titolo di migliore della cantautrice.
Aimee Mann è una cantautrice caratterizzata da grande classe e sensibilità e da un songwriting articolato, elaborato e seducente, che fa della malinconia e dell'introspezione la sua quasi imbattibile ascia di guerra. E' dotata di una voce inconfondibile, versatile ed incisiva e suona un pop maturo e composto, che ricorda nebulosamente Joni Mitchell o i Beatles, ma interpretato con grande personalità e mestiere.
"Bachelor No. 2" è un disco elegante e dagli ottimi spunti, che si allontana dal pop-rock del precedente "I'm With Stupid" e dimostra un'evoluzione sia nel sound (oggi di impronta più folk e più ricercato) che nel songwriting. Dall'opener "How Am I Different?" - La prima di diverse frecce avvelenate verso i discografici - questo è già evidente. Ma anche nella deliziosa "Driving Sideways", che con quel suo decadente tono da car-crossing dovrebbe essere declamata come inno di tutti i guidatori crepuscolari.
Anche nei pezzi più lenti Aimee Mann supera a pieni voti la prova e questo si evince soprattutto in "Deathly", che parte placida e stagnante nella sua spina dorsale acustica, per poi fiorire in crescendo nella parte finale, in cui l'apporto strumentale si intensifica per dare vita ad uno dei pezzi migliori del lotto. Ma il vero apice è raggiunto con la diade "Ghost World" e "Calling It Quits". La prima è un ormai raro esemplare di "perfect pop song" che può essere interpretata come il racconto del problema comune a tutti di trovarsi ad affrontare la vita dopo gli studi. La seconda è semplicemente il pezzo più interessante del disco, una power-ballad solida ed originale che fonda le proprie basi sull'iniziale melodia di pianoforte ma soprattutto sul testo caustico e tagliente.
Il limite di Aimee Mann, qui come anche nei dischi successivi, è quello di non riuscire a colpire dritta nel segno se non ascoltata con una certa dedizione. Punta molto sugli splendidi testi ma gli accompagnamenti, benché gradevoli e mai banali, ad un ascolto superficiale potrebbero risultare troppo omogenei, e la Mann potrebbe apparire fredda ed ermetica. In fondo però, quelle raccontate da Aimee Mann non sono che cronache di vita quotidiana in cui chiunque potrebbe rispecchiarsi. E se quasi nessuno si ritrova nella struggente e minimalista "Just Like Anyone" (dedicata a Jeff Buckley), non ho da lamentarmi se l'annunciatrice col sorriso da deficiente del TG5 ogni sera mi parla di gente che salta in quarantanove pezzi mentre addento il mio panino.
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