"Film psicoanalitico per eccellenza e film che infrange a cuor leggero tanti tabù (primo, fra tutti, il secolare "che Medea non muoia in scena"), film ammirato e scostante come massima espressione di un cinema basato sul suo potere voyeuristico, e film di scene celeberrime [...] Attratto dal proprio potere di "direzione degli spettatori", [...] Hitchcok crea un clima gotico in lui insolito [...] e abile dissonanza di architettura narrativa (la crudele infrazione della morte della star nella prima parte rende di per sé angoscioso il seguito [...]). Soprattutto non lascia spazi di identificazione con nessuno, sguazzando nel mistero di un maniaco senza riscatto che uccide travestito con gli abiti della madre che ha assassinato e impagliato. Solo un film puro di forza glaciale?" (Gianni Volpi, "I Mille Film", Baldini & Castoldi, 984 pp.)
Hitchcock era reduce da due film opposti, per quanto indiscussi capolavori: il flop commerciale de "La donna che visse due volte" (in parte attaccato anche da certa critica americana) e il successo de "Intrigo internazionale". I produttori spingevano affinchè il regista inglese continuasse a creare film di spionaggio, o al più gialli classici, molto amati dal pubblico e sicura fonte di trionfi. Eppure Hitchcock appariva inquieto, e a 60 anni appena compiuti non sembrava più disposto a sopportare le bizze di produttori o affini. La sua segretaria, Peggy Robertson, passa al proprio datore di lavoro, in data 1959, un libro (a seguito di una recensione positiva letta su un magazine) l'opera "Psycho" di Robert Bloch basata sulle vicende di Ed Gein, detto il "Macellaio di Plainfield", serial killer tra i più feroci mai apparsi negli USA e "quasi" vicino di casa del suddetto Bloch (li separavano 64 km). A Hitchcock il libro piace e sottopone l'idea alla Paramount che, subito, rifiuta. L'idea appare ardita, il film potrebbe trasfromarsi in qualcosa di eccessivamente crudele (e dunque respingente per un pubblico abituato a shock meno violenti) e, soprattuto, il budget appare spropositato. Hitchcock, che in quegli anni lavorava con assiduità alle puntate del suo celebre Hitchcock presenta (uno dei primi registi a capire le potenzialità del mezzo televisivo) rilanciò con la proposta di utilizzare i tecnici, le attrezzature e i teatri di posa (tranne qualche sparuta eccezione) dello show televisivo. A quel punto la Paramount accettò, non sapendo che quel film sarebbe diventato il più grande successo commerciale di Hitchcock e uno dei più "giganteschi" di ogni tempo, bensì prevedendo un fallimento che avrebbe comportato sforzi economici comunque contenibili.
"Psycho" è, anzi tutto, capolavoro di narrazione e di tecnica, un gioco gatto-topo che Hitchcock "organizza" con lo spettatore, fornendogli chiavi di lettura contrastanti così da spiazzarlo in continuazione. Aperto da un celebre piano sequenza che dall'asfalto rovente di Phoenix ci porta diretti fin dentro una camera d'albergo di quart'ordine, continuamente intervallato da alternanze di orizzontalità e verticalità (la verticalità della casa e l'orizzontalità del motel; le persiane delle finestre e le testiere dei letti), eternamente diviso tra alti e bassi (le strade che la protagonista percorre fino a raggiungere, involontariamente, il motel di Norman Bates e la pioggia che cade pesante su oggetti e persone), martellato da una colonna sonora violentissima a firma Bernard Herrmann e da un senso di angoscia, e stupore, che tiene sempre altissima la tensione, finanche nella seconda parte a protagonista ormai scomparsa. La famosa scena della doccia (vero capolavoro di movimenti di camera e montaggio, che occuparono 7 giorni di lavorazione) lo studiano, ormai, in tutte le scuole di cinema: da mandarsi a memoria la lentissima sequenza che parte dal primissimo piano dell'occhio del cadavere fino al totale del corpo disteso sul pavimento (che ha dentro qualcosa, nella tecnica, del cinema sperimentale russo del cosiddetto Cineocchio).
Con un gusto del décore davvero affascinante: il motel di Norman Bates si rifà ad un dipinto di Edward Hopper del 1925. E un mix incantevole di giallo, thriller e venature horror. Certo, il tratteggio psicologico di Marion Crane (la protagonista, interpretata da una convincente Janet Leigh) appare forse meno a fuoco rispetto a quello di Norman Bates/Anthony Perkins (il povero Perkins finirà, nel tempo, risucchiato in questo ruolo e ne proporrà una propria versione, nel 1986, in "Psycho 3"). Lo psicopatico dissociato mentale, amante della tassidermia (che infatti impaglia la mamma mummificandola nello scantinato) è un caso clinico da manuale come pochi se n'erano visti al cinema, e l'eccesso di crudezza (oggi invero molto meno d'impatto) fu una delle principali critiche mossa dalla stampa specializzata all'epoca, ma fu anche uno dei motivi che ne decretarono il successo di pubblico (con qualche curiosità in merito: fu il primo film nella storia del cinema in cui venne inquadrato un gabinetto, particolare, ai tempi, scabroso; la morte "prematura" della protagonista convinse Hitchcock a far affiggere agli ingressi di ogni cinema del globo l'avviso "vietato entrare in sala a film già iniziato").
Lo hanno copiato tutti, o hanno provato a copiarlo, qualcuno addirittura l'ha rifatto ("Psycho", 1998, di Gus Van Sant), ne sono stati prodotti film che ne hanno raccontato la tribolata lavorazione ("Hitchcock", 2012, di Sacha Gervasi), ne sono tratte serie tv (nel 1987, "Il motel della paura", e una più lunga realizzata dal 2013 al 2017), ne sono stati scritti saggi e trattati di ogni tipo e natura. E non sono stati sempre teneri i critici che, nel 1960, presero visione di un film tanto rivoluzionario quanto, per loro, ignobile: "Una macchia in una carriera onorevole" (Bosley Crowther, "New York Times"); "Nessuna ricerca di umanità nei personaggi, nè di una verita drammatica [...] soltanto il futile, accademico, e spesso irritante giuoco di intelligenza condotto fino allo spasimo, e sostenuto purtroppo dai più accademici e logori convenzionalismi" (Nino Ghelli, "Rivista del Cinematografo"); "[...] e se la mdp, sotto la direzione di Hitchcock, qua e là tende a sovraenfatizzare certi punti della vicenda, beh, si puo' perdonare" (Gene Arneel, "Variety"). Lo amarono molto i Cahiers du Cinema con Truffaut in testa. A fronte di un budget di 806.947 dollari ne incassò 32 milioni.
Nel 2020 è uscita una gustossima edizione Blu-Ray, definita "uncut" che ripristina alcuni dettagli originali dell'opera fino a quel momento mai pervenuti (e, dunque, mai visti in home-video, bensì usciti solo al cinema nel 1960): le mani insaguinate di Bates dopo aver spostato il cadavere di Crane; un numero più elevato di coltellate nella scena dell'omicidio del detective, tale da renderla ancora più cruenta se possibile). Con tre seguiti ("Psycho II", 1983, di Richard Franklin; "Psycho III", 1986, di Anthony Perkins; "Psycho IV", 1990, di Mick Garris). Espunto, in sede di montaggio, buona parte del celebre monologo finale dello psichiatra che espone a polizia e affini l'origine della pazzia di Norman Bates (in originale ne venne girata una sequenza più lunga, di circa 5' in più). Ebbe 4 nomination agli Oscar, finì a mani vuote. In proposito, nessuna sorpresa (quell'anno trionfò "L'appartamento" di Billy Wilder, altro capolavoro).
Elenco e tracce
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Altre recensioni
Di Bubi
La scena della doccia è sicuramente una delle più rinomate del cinema, vista da tutti alla televisione, come simbolo medesimo del film.
Psycho è anche e soprattutto un film che tratta lo sdoppiamento della personalità, sul finale, lo psichiatra spiega in maniera perfetta il mondo interiore.
Di let there be rock
La scena che cambia e sconvolge il film e lo eleva a film horror-psicologico per antonomasia è la famosissima scena della doccia.
Chiudete la porta, spegnete le luci e godetevi questo film straordinario, dove tutto è paurosamente perfetto e dove niente è lasciato al caso.