Una piccola scoreggia, flatulenza, puzzetta, bronza, peto o loffia, chiamatela come volete.
Vive di vita propria, giusto il tempo per impestarti le nari e di farti chiedere chi ne era il proprietario/a e perché ha deciso di liberarla proprio vicino a te.
Generalmente conta poco, a volte nulla. A volte ti cambia la vita senza che tu lo sappia.
Situazioni imbarazzanti.
Situazioni in cui noti che qualcosa si inceppa. Un particolare piccolo ed insignificante, oppure enorme e decisivo?
Non so rispondere, questa domanda la pongo a voi cari de-utenti. Io mi limito a rendervi edotti, in modo da poter emettere il giudizio guidati solo dai vostri neuroni (lo so, siamo messi male…).
Fu la mia prima recensione sul sito più fiko dell’internet, gli Algeris con There is no years, uscito a gennaio 2020. In copertina un uomo che precipita da un palazzo. Dopo pochi giorni ci toccava l’anno più incredibile mai vissuto da ognuno di noi.
Eroi sul divano.
Ce la faremo.
Ne usciremo migliori…
Stavolta in copertina un lupo (triste?) azzanna una catena (si libera da?) in una fredda giornata invernale, “SHOOK” e sette righe fitte fitte di ospiti.
Per inciso l’album è uscito a febbraio 2023, un lupo stilizzato è l’emblema delle forze speciali ucraine (SSO). L’invasione russa è del febbraio 2022…
Casualità? Scoreggina? Previsione con un anno di ritardo? Mah, chi può dirlo, certo che fare previsioni postume è molto più facile.
Infatti qui casca l'asino.
Gli Algeris sono stati sul punto di scogliersi, poi hanno invitato una vagonata di ospiti a cimentarsi su questo disco. Alcuni bravi, altri meno. Comunque l’effetto immediato è la sensazione che questo NON sia un disco degli Algeris, ma di un “esamble” più ampio. Franklin James Fisher canta poco e non (mi) ammalia più con la sua voce. Noto subito che arrivare in fondo ai quasi 55 minuti del disco è faticoso, ci sono decine di riferimenti, sample di tanti artisti, sermoni, black power, meno soul e gospel, più hip pop e punk .
Troppa roba?
No, ma qualcosa mi dà fastidio. Una puzzetta?
Disco da ascoltare dall’inizio con Everybody shetter alla fine, passando per il punk rabbioso di “A good man” e “ Something wrong”ed il gospel industrial di “Green iris”.
Il resto scorre via, anzi evapora come una piccola loffia.
Disco dell’anno per il Venerato Maestro, orsù a questo punto ditemi dove sbaglio!
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